Neuroblastoma - genetica e terapie

Prof. Mario Capasso (Napoli): “Mediante tecniche di sequenziamento di ultima generazione e analisi bioinformatiche otteniamo una lista di mutazioni da colpire con farmaci specifici”

Risale al 1910 il primo utilizzo del termine “neuroblastoma” per definire un raro tumore dell’età pediatrica che prende origine dai residui del sistema nervoso autonomo sviluppatosi durante la vita embrionale. Questo tumore - il più frequente tra i bambini fino ai 5 anni - colpisce i gangli simpatici che corrono lungo la colonna vertebrale e può, per tale ragione, produrre manifestazioni di malattia a vari livelli, addominale, toracico o cervicale. Le opzioni di cura sono ancora limitate e nella maggior parte dei casi la prognosi è infausta. Ciò sta spingendo i ricercatori a sfruttare i più moderni strumenti di indagine del tumore per scovare i suoi punti deboli, come nel caso del programma PREME.

PREME è un programma di medicina di precisione applicato al paziente e basato sulla genetica del neuroblastoma”, afferma Mario Capasso, professore di Genetica Medica all’Università degli Studi Federico II e coordinatore del progetto PREME per la parte che riguarda il CEINGE di Napoli. “Lo scopo del programma è di analizzare tutte le mutazioni nei bambini con tumore ad alto rischio per giungere a una terapia che sia diretta in maniera specifica verso di esse”. Si tratta del primo progetto di questo tipo ad esser approvato in Italia per un tumore dell’infanzia che, non a caso, è risultato essere il neuroblastoma.

Ad oggi, infatti, la prima possibilità d’intervento contro il neuroblastoma rimane quella chirurgica, tramite cui si punta ad asportare totalmente (o almeno in gran parte) il tumore; ma se questo risulta essere in rapporto troppo stretto con gli organi vitali si tende a far precedere l’intervento da alcuni cicli di radioterapia o chemioterapia, con la somministrazione di farmaci antiblastici. Sfortunatamente, nei casi in cui la malattia si presenti già in forma metastatica la prognosi non è buona e le frecce terapeutiche nella faretra dell’oncologo si riducono drasticamente. Negli ultimi anni uno dei settori della medicina che ha riservato le più solide promesse alle famiglie dei malati è stato quello dell’immunoterapia, il cui pilastro più importante rimane la caratterizzazione molecolare del neuroblastoma. Un passaggio che rappresenta anche la chiave del programma PREME.

“Il coordinamento del programma PREME è affidato all’Istituto Giannina Gaslini di Genova ma numerosi ospedali d’Italia partecipano alla raccolta dei campioni biologici”, precisa Capasso. Infatti normalmente quando, in un qualsiasi centro italiano, un bambino riceve la diagnosi di un neuroblastoma ad alto rischio si procede alla biopsia per prelevare e analizzare un frammento del tumore, così da farne la stadiazione e stenderne la ‘carta d’identità molecolare’. “Un frammento del tumore viene inviato all’unità di Anatomia Patologica del Gaslini di Genova dove si effettuano le prime indagini molecolari, successivamente il materiale arriva al CEINGE di Napoli dove, attraverso innovative piattaforme di sequenziamento, si analizzano tutti i geni e le possibili mutazioni presenti nel frammento tumorale. Quindi, grazie ad approcci bioinformatici di predizione di patogenicità della mutazione, viene stilata una lista di alcuni geni mutati, noti per essere potenziali bersagli terapeutici. Ciò significa sapere se per una data mutazione esista già un farmaco molecolare capace di inibire l’azione del gene coinvolto nello sviluppo del tumore”. È quello che viene definito approccio agnostico: si allarga il campo d’indagine a tutte le mutazioni espresse dal tumore per poi restringere gradualmente l’elenco a quelle principali contro cui sono disponibili sul mercato farmaci la cui efficacia è stata testata su altri tumori pediatrici o dell’adulto. “Il limite che ancora non è stato superato è quello della disponibilità di nuove molecole da usare contro il neuroblastoma”, aggiunge Capasso. “Perciò, con il programma PREME cerchiamo di individuare quelle già validate all’interno di trial clinici su altri tumori che con il neuroblastoma condividono l’assetto mutazionale”.

Ma quali sono le mutazioni principalmente prese in esame? Dai primi risultati del programma PREME è emerso che per circa il 60% delle mutazioni riscontrate era già nota (ed era quindi stata testata) l’interazione con un farmaco potenzialmente in grado di agire in maniera mirata. “Le mutazioni individuate con maggiore frequenza riguardano il gene ALK, che si sa esser mutato in circa il 10-15% dei neuroblastomi”, spiega il ricercatore napoletano. La proteina ALK è un recettore delle tirosin-chinasi che, se colpito da mutazioni, può dare origine a processi legati alla proliferazione tumorale. “Contro le mutazioni di ALK è disponibile un farmaco, crizotinib, che ha dimostrato di poter produrre risultati concreti. Un altro farmaco  attivo contro le mutazioni di ALK e accreditato di buon risultati nei pazienti con neuroblstoma recidivante o refrattario ai trattamenti è lorlatinib, su cui sta per essere avviato a livello europeo un ampio studio clinico che ne confermi la reale efficacia in una casistica estesa di pazienti affetti da neuroblastoma”. Altri geni la cui rilevanza è emersa all’interno del programma PREME sono ATRX, MDM2 e MYCN (trovato in circa il 20% dei casi di neuroblastoma). Ma molto altri sono i geni identificati che - si spera in un breve lasso di tempo - potrebbero finire al centro di protocolli di studio anche con farmaci già approvati e disponibili sul mercato.

Una volta che la lista di geni associati al singolo frammento di tumore è pronta, si riunisce il Molecular Tumour Board (MTB), cioè un insieme di esperti di neuroblastoma composto da oncologi, biologi, genetisti e bioinformatici, per discutere insieme sulle mutazioni identificate e cercare di capire quale sia il farmaco adatto alle peculiari caratteristiche cliniche del bambino”, precisa Capasso. “In base a tutto ciò si decide la fattibilità della terapia molecolare diretta verso la mutazione indicata”. Pertanto, chiarire i meccanismi patogenetici del neuroblastoma è la sola via per capire quali risorse usare contro di esso; grazie alle tecniche di sequenziamento avanzate sono state compiute scoperte sostanziali per predire la prognosi, stratificare i pazienti in gruppi ad alto e basso rischio e, alla fine, identificare nuovi bersagli terapeutici. Tuttavia, la prova più difficile che attende i ricercatori è il passaggio alla clinica: le informazioni acquisite in laboratorio devono esser verificate sul campo, attraverso protocolli e trial clinici che ne esaminino l’utilità clinica. “PREME è un programma che ha preso avvio con i finanziamenti del mondo della ricerca”, conclude Capasso. “Ma il modus operandi insito in questi programmi deve permeare l’intera pratica medica. Per alcune forme tumorali, come il cancro del colon-retto, tale approccio ha già condotto alla scoperta e all’utilizzo di farmaci che migliorano la sopravvivenza dei pazienti. Lo stesso deve esser fatto per il neuroblastoma e altri tumori rari”.

L’avanzamento delle tecnologie molecolari ha approfondito il livello di conoscenza della patogenesi di tumori che fino a qualche anno fa rappresentavano un mistero dell’oncologia. Ciò ha consentito di scoprire quali farmaci usare in maniera personalizzata contro il tumore del singolo individuo, ma senza gli studi clinici che ne verifichino l’efficacia su larga scala la transizione nella pratica clinica rischia di essere lenta, se non addirittura di arrestarsi. Con pesanti ripercussioni su tutti i malati.

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