In numerose forme di tumore o d'infezione cronica, le cellule immunitarie note come linfociti T non sono in grado di contrastare efficacemente lo sviluppo della malattia. Gli scienziati statunitensi del Sanford Burnham Prebys Medical Discovery Institute (SBP) hanno scoperto come una specifica proteina, denominata PSGL-1, svolga un ruolo cruciale nel modulare l'attività difensiva di queste cellule. I risultati della ricerca, da poco pubblicati sulla rivista Immunity, potrebbero aprire la strada allo sviluppo di approcci terapeutici in grado di stimolare le difese immunitarie contro diversi tipi di malattie che ancora non dispongono di farmaci realmente validi.
All'interno dell'organismo umano, i linfociti T hanno la funzione di riconoscere e distruggere agenti patogeni invasori (virus o batteri) o formazioni cellulari dannose (tumori). Dato che la loro azione è regolata da un complesso insieme di segnali provenienti da altre cellule, alcuni tipi d'infezione o di cancro sono in grado di ostacolarla, diminuendo il livello di funzionalità degli stessi linfociti. Di recente, la comparsa di nuovi farmaci immunoregolatori ha consentito di migliorare il trattamento di forme tumorali come il melanoma o il carcinoma polmonare, grazie alla possibilità di intervenire scatenando la risposta del sistema immunitario e rivolgendola contro la malattia.
E' in questo contesto che si colloca il lavoro dei ricercatori dell'SBP, i quali hanno scoperto che una particolare proteina, che viene espressa sulla superficie dei linfociti T ed è denominata 'ligando 1 della glicoproteina P-selectina' (PSGL-1), agisce stimolando i cosiddetti 'checkpoint immunitari', vie di segnalazione che hanno la funzione di arginare l'attività linfocitaria per prevenire malattie autoimmuni. In virtù di questa sua specifica capacità, PSGL-1 non è soltanto in grado di smorzare la funzionalità dei linfociti, ma anche di rendere più breve il loro ciclo vitale.
Gli scienziati hanno utilizzato un modello di topo che è stato bio-ingegnerizzato per manifestare una carenza di PSGL-1, notando che l'organismo degli esemplari è stato in grado di eradicare in modo completo l'infezione dovuta al virus della coriomeningite linfocitaria, una malattia virale tipica dei roditori. In un secondo modello murino affetto da melanoma, il deficit di PSGL-1 ha stimolato la risposta dei linfociti contro il tumore, portando a un notevole rallentamento della progressione della patologia.
Secondo gli autori dello studio, il controllo farmacologico dell'attività di PSGL-1 potrebbe avere grandi potenzialità terapeutiche in vari ambiti clinici: mentre l'inibizione della proteina fornirebbe nuove opzioni di trattamento per infezioni virali croniche, come l'epatite C, o per numerosi tipi di cancro, la sua attivazione rappresenterebbe un modo per contrastare le malattie che hanno origine autoimmune, quali lupus, psoriasi, artrite reumatoide e sclerosi multipla.
I ricercatori dell'SBP, che hanno già ricevuto diverse proposte di collaborazione da parte di aziende farmaceutiche interessate ad esplorare il potenziale clinico dei loro risultati, stanno svolgendo una serie di indagini in ambito tumorale per poter identificare eventuali strategie in grado di combinare i benefici dell'inibizione della proteina PSGL-1 con gli effetti mirati degli attuali farmaci anticancro.
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