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La nuova tecnologia Crispr ha grandi potenzialità ma presenta una serie di falle che ne limitano l’applicabilità, come il rischio di tagli imprevisti in punti non desiderati del DNA.
Una possibile soluzione arriva dai laboratori italiani del Centro per la Biologia integrata dell’Università di Trento

In questi ultimi anni la tecnologia Crispr-Cas9 sta rivoluzionando l’arte del 'taglia e cuci genetico' e la sua innovatività si può riassumere in quattro semplici aggettivi: veloce, precisa, economica e facile da usare. Non solo, può essere utilizzata su qualunque tipo di cellula: batterica, vegetale, animale e umana, e permette di manipolare il DNA in maniera molto versatile, dalla correzione di una singola lettera del codice genetico alla modifica di più geni contemporaneamente.

Dal 2012, anno di pubblicazione su Science della scoperta delle potenzialità di Crispr-Cas9 nell’ambito dell’ingegneria genetica, ad oggi i risultati ottenuti con Crispr si sono rivelati entusiasmanti e promettenti in diversi ambiti. Dalla medicina, come nuova strategia per ideare terapie innovative per diverse malattie o per ottimizzare i trapianti di organi da animale a uomo, alle 'biotecnologie verdi', per lo sviluppo di nuovi materiali biologici o per creare piante più produttive e resistenti.

Ma nonostante il grande lavoro che si sta facendo in tutti i laboratori del mondo, e la continua creazione di nuove varianti del macchinario Crispr per migliorare le sue 'performance', la tecnica presenta ancora dei difetti e la sua applicazione clinica non è dietro l’angolo. Uno di questi difetti, che preoccupa maggiormente i ricercatori, è quello che viene chiamato 'effetto off target'. Ovvero l’effetto, potenzialmente dannoso, di tagli imprevisti in punti non desiderati del DNA. In poche parole, un effetto collaterale dell’editing genomico. Un evento che può essere causato da una permanenza prolungata e incontrollata del macchinario Crispr-Cas9 all’interno dell’organismo.

Come limitare quindi al minimo l’azione di Crispr-Cas9? Una strategia potrebbe essere di disinnescare il macchinario una volta portata a termine l’azione di 'taglia e cuci' sul target desiderato. Idea che è stata sviluppata dal Centro per la Biologia integrata (Cibio) dell’Università di Trento e pubblicata il 22 maggio scorso sulla prestigiosa rivista scientifica Nature Communications.

Il rivoluzionario macchinario Crispr-Cas9 in realtà è semplicissimo e si basa sulla combinazione di due elementi: la proteina Cas9, che è l’enzima deputato al taglio del DNA, e un RNA guida che funziona come sistema di posizionamento in grado di andarsi a localizzare esattamente sulla sequenza di DNA da tagliare. Per veicolare Crispr-Cas9 nell’organismo, i due componenti vengono incapsulati in vettori virali, i ricercatori italiani hanno avuto l’idea di aggiungere al vettore un terzo componente: un ulteriore RNA guida che ha come target la stessa Cas9. “Quando la proteina effettua il taglio sul DNA, la sua azione si rivolge così automaticamente anche su se stessa, annientandola. Un po’ come se entrasse in gioco un effetto specchio - ha spiegato Anna Cereseto, autrice dello studio - Il risultato è che Cas9 rimane in loco solo il tempo necessario per svolgere la sua azione e poi si dissolve. Abbiamo così dato origine a un circuito autolimitante, in grado di funzionare in modo efficiente e senza complicazioni”. Insomma, una Crispr-Cas9 “usa e getta”, come l’ha definita Cereseto.

Questa nuova strategia è stata subito brevettata, con il nome SLiCES (Self-Limiting Cas9 circuit for Enhanced Safety and specificity), per le sue grandi potenzialità in ambito applicativo. Il gruppo di ricerca del Cibio sta ora testando questo nuovo approccio in modelli per la fibrosi cistica e per l'atrofia muscolare spinale (SMA) e le possibili applicazioni su altre malattie, in primis i tumori, sono numerose e interessanti.

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