Intervista a Roberta Zaffalon, presidente dell’Associazione Sindrome di Jacobs XYY - APS, che fa parte dell’Alleanza Malattie Rare
La Sindrome di Jacobs (47,XYY) è una condizione genetica caratterizzata dalla presenza di un cromosoma Y in più nel corredo cromosomico di un individuo di sesso maschile. Si verifica in circa un uomo ogni 1.000 e, nella maggior parte dei casi, l’alterazione è presente in tutte le cellule dell’organismo (le stime però possono variare in base ai metodi di rilevazioni e dalle popolazioni studiate). In alcune situazioni, però, può riguardare solo una parte delle cellule.
Questa variazione cromosomica non è ereditaria ma deriva da un errore spontaneo che avviene durante la meiosi, il processo che riduce il numero di cromosomi delle cellule germinali da 46 a 23. Se, in una specifica fase della meiosi, i due cromosomi Y paterni non si separano correttamente, l’embrione riceverà due cromosomi Y invece di uno, oltre al cromosoma X proveniente dalla cellula uovo materna. Il risultato sarà un assetto cromosomico di 47 cromosomi, con un cromosoma Y soprannumerario.
La sindrome di Jacobs appartiene al gruppo delle anomalie numeriche del cromosoma Y, che comprende anche condizioni più rare, come la sindrome 48,XYYY (in cui sono presenti due cromosomi Y extra) e la sindrome 49,XYYYY (caratterizzata da tre cromosomi Y in eccesso). Queste ultime sono molto meno comuni, con un’incidenza stimata di circa un caso su un milione.
“L’Associazione Sindrome di Jacobs XYY - APS è nata inizialmente come un semplice gruppo di famiglie che si sono conosciute grazie ai social”, ci dice la presidente, Roberta Zaffalon. “Oggi, per fortuna, proprio i social permettono di entrare in contatto con molte più persone che vivono esperienze simili. Tutti noi eravamo alla ricerca di risposte, di un confronto e di supporto, ma ci siamo resi conto che mancavano informazioni e riferimenti concreti. Così, abbiamo iniziato a creare una rete di contatti: all’inizio solo tramite i social, poi con telefonate, messaggi e, piano piano, anche con incontri tra famiglie. Ancor prima di formalizzare l’associazione, abbiamo organizzato piccole vacanze insieme, momenti di condivisione che ci hanno permesso di capire meglio quali fossero le esigenze comuni. Ci siamo resi conto, quindi, che era fondamentale coinvolgere medici e specialisti, quindi abbiamo iniziato a raccogliere informazioni sui professionisti di riferimento, suddividendoli per zona. Il problema principale, però, è la mancanza di informazione: c’è pochissima consapevolezza sulla sindrome e, senza un’associazione alle spalle, ottenere riscontri e aiuto è davvero difficile”.
SINDROME DI JACOBS: UN’ASSOCIAZIONE PER ROMPERE IL SILENZIO
“Il nostro primo obiettivo è stato far sì che nessuna famiglia si sentisse sola”, prosegue Zaffalon. “Volevamo fornire risposte, strumenti concreti e, soprattutto, creare opportunità per i nostri ragazzi, perché fino a quel momento non c’era nulla di tutto ciò. Si parte dal bisogno più impellente: avere e fornire informazioni. Offriamo un canale di contatto diretto alle famiglie, affinché possano comunicare con noi e trovare un punto di riferimento. Il primo passo è sempre l’ascolto: quando una famiglia ci contatta, le dedichiamo il tempo necessario per accoglierla e orientarla. Abbiamo attivato un gruppo di volontari che risponde alle richieste, che si tratti di genitori in attesa, di famiglie con figli più grandi o di mogli o compagne di uomini adulti con la sindrome. Per garantire un supporto efficace ci stiamo anche formando, così da offrire un aiuto più mirato. Inoltre, abbiamo creato “l’Angolo del Confronto”, un gruppo di supporto e condivisione per genitori e familiari, guidato da una psicologa esperta, la Dott.ssa Martina Mascherini, nella gestione dei gruppi. Si svolge online, così chiunque, ovunque si trovi, può partecipare e trovare uno spazio sicuro dove condividere esperienze”.
LE DIFFICOLTÀ NON MANCANO
“Non abbiamo ancora un comitato scientifico vero e proprio – continua Zaffalon – ma siamo in contatto con diversi specialisti che seguono i nostri ragazzi nei vari centri. Stiamo lavorando per costruire una rete di esperti, ma il problema di base è sempre la scarsa conoscenza della sindrome. Il nostro obiettivo è anche strutturare uno studio approfondito, magari proprio in Italia, con un focus sugli aspetti neuropsicologici, che sono fondamentali per questa condizione. Un altro problema serio è che nel 2017 la sindrome di Jacobs è stata eliminata dall’elenco delle patologie esenti, togliendo così il codice di esenzione sanitaria RNG080. Quando è accaduto non c’eravamo ancora come associazione, quindi non abbiamo una risposta ufficiale. La nostra ipotesi è che sia dipeso proprio dalla scarsa conoscenza della sindrome, anche tra gli stessi medici”.
UNA DIAGNOSI DIFFICILE
“In passato la diagnosi era spesso casuale, oppure i bambini venivano etichettati con altre condizioni, come lo spettro autistico, l’ADHD o problemi dell’apprendimento, senza arrivare all’indagine genetica”; racconta Zaffalon. “Questo significa che molte persone non sono mai state diagnosticate e probabilmente i numeri ufficiali sulla prevalenza della sindrome non sono del tutto accurati. Non esistono dati statistici precisi sui tempi di diagnosi, ma in molti casi servono anni. Escludendo le diagnosi prenatali, spesso il riconoscimento avviene solo in adolescenza, o addirittura in età adulta. E una volta ricevuta la diagnosi, non esiste un percorso assistenziale o terapeutico strutturato. Non c’è un protocollo standard per la presa in carico, quindi tutto dipende dal centro di riferimento o dalla sensibilità del singolo medico. In alcuni casi si riesce a strutturare un percorso personalizzato, ma nella maggior parte delle situazioni le famiglie si trovano da sole a dover gestire la situazione. Per questo stiamo cercando di entrare nei centri di coordinamento regionali per le malattie rare. Vogliamo che la sindrome sia riconosciuta e trattata in modo adeguato. Ogni Regione ha un sistema sanitario diverso, il che rende ancora più complicato garantire un supporto uniforme sul territorio”.
TERAPIE E INTERVENTI PER LA SINDROME DI JACOBS: CHI SE NE FA CARICO?
“La maggior parte delle volte i costi sono a carico delle famiglie”, puntualizza Zaffalon. “Se il bambino ha una seconda diagnosi, come autismo o ADHD, allora può accedere a determinati servizi. Ma se la diagnosi è solo di sindrome di Jacobs, le terapie non sono coperte dal sistema sanitario e devono essere pagate privatamente. Per sensibilizzare l’opinione pubblica e comunità medica partecipiamo a convegni e collaboriamo con altre realtà per diffondere informazioni corrette. La difficoltà maggiore è che esistono pochissimi dati sulla sindrome e, di conseguenza, anche le informazioni disponibili sono limitate. Inoltre, in passato alcune ricerche hanno diffuso stereotipi sbagliati, creando ulteriore confusione. Il nostro obiettivo è costruire un percorso di ricerca serio e aggiornato, per dare alle famiglie risposte più chiare e ai medici strumenti adeguati per la diagnosi e la gestione della sindrome. Poi sicuramente vogliamo il ripristino dell’esenzione sanitaria e la creazione di una rete di centri di riferimento in diverse Regioni, perché oggi i pochi specialisti disponibili sono concentrati solo in alcune città. Un altro passo fondamentale sarebbe la creazione di un PDTA nazionale con linee guida chiare per la gestione della sindrome. E, infine, l’accesso agevolato ai servizi di supporto psicologico e riabilitativo, che oggi sono quasi sempre a pagamento. Per questo stiamo anche cercando di ottenere fondi. Abbiamo ricevuto qualche aiuto da associazioni locali che hanno organizzato eventi benefici, ma ci piacerebbe avere sponsor più solidi. Stiamo valutando anche il crowdfunding, perché ci rendiamo conto che per avviare una ricerca strutturata servono risorse economiche importanti”.
L’Associazione Sindrome di Jacobs XYY – APS fa parte dell’Alleanza Malattie Rare, tavolo tecnico che riunisce ad oggi oltre 430 associazioni di pazienti di I e II Livello, ma anche tecnici e rappresentanti istituzionali sensibili alle tematiche delle malattie rare. L’AMR rappresenta dunque un luogo di fattiva collaborazione tra la società civile ed il mondo istituzionale con lo scopo di migliorare l’organizzazione dell’intero settore delle malattie rare, toccando anche i temi della disabilità, dell’assistenza e dell’inclusione.
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