Un gruppo di esperti italiani ha già iniziato a lavorare alla stesura delle raccomandazioni: l’iniziativa è stata fortemente voluta dell’Associazione Famiglie COL4A1-A2
È cominciato lo scorso di febbraio, ma sono già tante le aspettative e, soprattutto, le speranze: parliamo del percorso per la definizione delle linee guida ufficiali per la diagnosi, il monitoraggio e il trattamento della sindrome COL4A1/A2. Un percorso intrapreso per iniziativa dell’Associazione Famiglie COL4A1-A2, che si è aperto lo scorso 10 febbraio con una tavola rotonda organizzata presso l’Istituto degli Innocenti a Firenze e che, se tutto andrà liscio, potrebbe concludersi nel giro di un anno.
Nel corso della tavola rotonda, che ha riunito clinici ed esperti, sono state presentate 9 relazioni scientifiche sulla sindrome COL4A1/A2, intervallate da scambi di opinioni e domande sulle questioni aperte riguardanti la malattia e la presa in carico dei pazienti. “Come rappresentanti delle famiglie siamo molto soddisfatti: siamo riusciti a mettere in contatto una ventina di specialisti e a farli dialogare tra loro”, commenta la presidente dell’Associazione Famiglie COL4A1-A2, Simona Manodoro. “Per quanto ne sappiamo, è la prima volta che in Europa viene organizzato un incontro di questo tipo e, soprattutto, che i clinici delle diverse specialità iniziano a lavorare assieme su questa malattia. Anzi, per meglio dire, è la prima volta non solo in Europa ma nel mondo”.
“La COL4A1/A2 è una condizione solo parzialmente conosciuta”, sottolinea Davide Tonduti, specialista in Neurologia Pediatrica e coordinatore del Centro COALA nato all’interno dell’Ospedale dei Bambini Vittore Buzzi di Milano per garantire l’assistenza e il trattamento multidisciplinare dei pazienti affetti da malattie ereditarie della sostanza bianca cerebrale (leucodistrofie e leucoencefalopatie) e patologie neurologiche complesse, spesso difficili da riconoscere e diagnosticare. “La malattia presenta una fragilità della membrana basale legata soprattutto ai piccoli vasi cerebrali, ma in misura minore sono colpiti anche gli occhi, i muscoli e i reni, per citare solo gli organi principali. Il problema è che oggi, pur sapendo quali sono gli organi maggiormente colpiti, non disponiamo di linee guida che stabiliscano come vada preso in carico il paziente, quali siano i protocolli di follow up da adottare e quali i farmaci da prescrivere. Per esempio, la fragilità vascolare preoccupa le famiglie rispetto all’utilizzo di una serie di farmaci, in particolare gli anticoagulanti e gli antiaggreganti”.
La difficoltà principale, dunque, è quella di dover affrontare una patologia complessa come la COL4A1/A2 potendosi avvalere di una quantità molto limitata di dati. Al momento, Tonduti e i colleghi del Centro Coala stanno ultimando una revisione della letteratura scientifica sulla sindrome, riguardante oggi circa 200 pazienti, per comprendere quali evidenze scientifiche siano finora emerse in merito alla gestione della patologia. “Si tratta di un’operazione retrospettica, in cui i pazienti non vengono osservati direttamente ma sulla base di quanto descritto nei lavori che li riguardano”, spiega il neurologo. “Stiamo inoltre raccogliendo i dati dei circa 15 pazienti, provenienti da tutta Italia, che seguiamo presso il Centro Coala”.
“Siamo in una fase molto iniziale della definizione delle linee guida, ma abbiamo un’ambizione molto grande”, sottolinea Marina Macchiaiolo, pediatra dell’Unità Operativa Complessa Malattie rare e Genetica medica dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma e coordinatrice del gruppo di lavoro deputato alla stesura delle linee guida. “Infatti stiamo seguendo la metodologia riconosciuta dalle ERN, le Reti di Riferimento Europee sulle malattie rare”, precisa. “Questa metodologia prevede la presenza di un gruppo multidisciplinare ampio, che coinvolge specialisti che si occupano di diversi organi e apparati”. Durante l’incontro a Firenze, il primo passo del gruppo di lavoro è stato quello di porre i quesiti a cui fornire una risposta, identificare i punti di riferimento e avviare una revisione accurata della letteratura, già in parte precedentemente iniziata. “La metodologia standardizzata è quella di prevedere delle domande precise che devono avere risposte basate su evidenze scientifiche, sebbene di grado variabile. Perché talvolta manca un’evidenza robusta – chiarisce Macchiaiolo – e in quel caso l’evidenza più robusta è l’opinione degli esperti”.
Una volta ultimate, le linee guida potranno diventare un punto di riferimento non solo riguardo a quanto già si conosce della patologia, ma anche rispetto a quello che ancora non si conosce. “Sapere dove si trovano le lacune delle evidenze scientifiche permettere di ridurre la variabilità della gestione medica della malattia, cosa di cui spesso si lamentano i pazienti e le loro famiglie”, conclude la pediatra. “L’importante è che ci sia sempre un confronto sui dati. È anche a questo che servono le linee guida”.
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