I risultati di Fase II del farmaco sperimentale sono stati pubblicati su The Lancet Oncology

Con la definizione di sindromi mielodisplastiche (SMD) si intende un insieme di malattie che comprende l’anemia refrattaria (AR), l’anemia refrattaria con sideroblasti ad anello (ARSA), l’anemia refrattaria con eccesso di blasti (AREB), quella con eccesso di blasti in trasformazione (AREB-T) e, infine, la leucemia mielomonocitica cronica (LMMC). Ciò che accomuna tutte queste patologie è la proliferazione incontrollata delle cellule staminali ematopoietiche, che non riescono più a maturare correttamente e ad assicurare, di conseguenza, una normale produzione di globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. Tale condizione risulta refrattaria ai trattamenti a base di ferro e vitamine e può persino evolvere in leucemia acuta. Per questa ragione, le sindromi mielodisplastiche sono state classificate come sindromi pre-leucemiche.

Uno dei sintomi più evidenti delle SMD è appunto l’anemia, che si accompagna ad astenia, febbre, infezioni e maggior rischio di emorragie. In una frazione minore di pazienti si può osservare un ingrossamento del fegato e della milza, che tuttavia non possono essere considerati segni clinici distintivi di queste malattie. Giungere a una diagnosi precisa è quanto mai importante, dal momento che questo genere di disturbi, per l'età generalmente avanzata dei pazienti e per la tipologia dei sintomi, tende ad essere confuso con i processi fisiologici dell’invecchiamento. Le sindromi mielodisplastiche hanno una prognosi piuttosto variabile, che spazia da pochi mesi a diversi anni, e impongono, a seconda della severità dell’anemia, un trattamento principalmente imperniato sulle trasfusioni di emoderivati.

In una recente pubblicazione apparsa sulla rivista The Lancet Oncology sono stati presentati i risultati di uno studio clinico di Fase II condotto su pazienti con sindromi mielodisplastiche ai quali è stato somministrato il farmaco luspatercept (ACE-536), sviluppato in collaborazione da Acceleron e Celgene. Luspatercept agisce ingabbiando i ligandi dell’activina e del recettore del TGF-beta e bloccando, in tal modo, la trasduzione dei segnali TGF-mediati e activina-mediati. In questa maniera, contribuisce al ripristino della maturazione delle cellule ematopoietiche e alla produzione dei globuli rossi.

Nello studio di Fase II PACE-MDS sono stati coinvolti pazienti affetti da SMD, dipendenti o meno da trasfusione e con malattia a rischio basso o intermedio-1, definito in base alla scala di punteggio IPSS (International Prognostic Scoring System). Tra il 2013 e il 2015, sono stati arruolati 58 pazienti presso 9 centri di ricerca in Germania. I partecipanti hanno ricevuto luspatercept tramite somministrazioni sottocutanee ogni 21 giorni, con un dosaggio variabile da 0,125 mg/Kg a 1,75 mg/Kg per 5 volte. Lo scopo principale dello studio, la cui fase a lungo termine è tuttora in corso, è quello di valutare la dose ottimale del farmaco e, allo stesso tempo, di soppesarne la sicurezza e l’efficacia.

Nella sperimentazione è stato possibile osservare un miglioramento nella produzione di cellule del sangue, in particolare di globuli rossi, nel 63% (32/51) dei pazienti che hanno ricevuto la dose più alta di luspatercept (1,0-1,75 mg/Kg), contro il 22% (2/9) di quelli che hanno ricevuto la dose più bassa (0,125-0,5 mg/Kg). I pazienti trattati con la dose di luspatercept giudicata ottimale sono stati rivalutati e suddivisi in sottogruppi, ed è stato possibile osservare che in quelli con un livello di eritropoietina endogena basale inferiore a 200 IU/L la risposta al farmaco è stata migliore, tanto che una buona parte dei soggetti ha potuto smettere di ricevere trasfusioni. In particolare, è stata registrata una buona risposta da parte dei pazienti affetti da anemia con sideroblasti ad anello e in quelli con mutazioni nel gene SF3B1, strettamente associate alla presenza di sideroblasti ad anello. Tutto ciò a fronte di effetti collaterali piuttosto modesti e facilmente trattabili, come le mialgie. Non è stato infatti registrato alcun fenomeno di mielosoppressione, solitamente comune in questo genere di terapie.

Luspatercept è stato quindi ben tollerato e ha dimostrato una buona efficacia nel trattamento dell’anemia in soggetti affetti da sindromi mielodisplastiche a basso rischio. Oltre a funzionare molto bene in un ben preciso sottogruppo di pazienti, il farmaco ha prodotto risultati significativi nella risposta anche dopo la somministrazione di fattori eritrostimolanti. Sono attesi nuovi sviluppi da ulteriori studi ma, dai dati pubblicati, sembra che questo nuovo farmaco possa davvero fare la differenza nel controllo dell’anemia nei pazienti colpiti da questi disturbi ematologici.

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