Al progetto di ricerca il Ministero della Salute ha assegnato 230mila euro
Entro tre anni potrebbe partire in Italia, e in particolare al Centro di Medicina Rigenerativa "Stefano Ferrari" dell'Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, una nuova sperimentazione di terapia genica basata sulle cellule staminali per i piccoli malati di Epidermolisi Bollosa (EB), o sindrome dei bambini farfalla, una malattia rara che attualmente riguarda in Italia circa 500 bambini.
La malattia provoca una estrema fragilità della pelle e delle mucose che si lacera o si riempie di siero (che forma delle bolle) per ogni minima frizione o trauma, a partire da quello del parto. Il prof. Michele Di Luca, direttore del Centro, e la sua equipe sono stati ad esempio i primi ad eseguire eseguito con successo il primo trapianto al mondo di pelle geneticamente modificata in un malato di una particolare forma di EB, detta giunzionale. E proprio su questa strada di ricerca il Centro di Modena si prepara a proseguire effettuando uno nuovo studio sulla terapia genica. Questo anche grazie ai fondi – circa 230mila euro - che in questi giorni si è visto assegnare dal Ministero della Salute, nell’ambito di un bando presentato nel 2008. Lo sviluppo di una terapia genica definitiva per alcune forme di Epidemiolisi Bollosa, si basa sul trapianto di cute coltivata in laboratorio a partire da cellule staminali geneticamente modificate, già positivamente sperimentato proprio dai ricercatori modenesi.
"Il progetto - ha spiegato Fulvio Mavilio, professore ordinario di Biologia molecolare all'Università degli studi di Modena e Reggio Emilia - prevede il trapianto nelle cellule staminali di una o più copie dei geni mutati nelle forme giunzionali e distrofiche di EB, in particolare quelli per la laminina 5 e per il collagene di tipo 7. I geni vengono inseriti nel genoma delle cellule staminali mediante l'utilizzo di vettori derivati da retrovirus, e in particolare da HIV. Il progetto - ha concluso il ricercatore - mira ad iniziare una sperimentazione clinica su alcuni pazienti nell'arco di tre anni".
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