“Ci sono voluti 25 anni di sofferenza per ottenere una diagnosi e una terapia, non voglio che questo accada più a nessuno”
Spesso è più facile raccontare le storie degli altri, piuttosto che la propria. Per anni, per me è stato così: sono giornalista e da ormai 8 anni raccolgo le testimonianze di chi convive quotidianamente con una malattia rara, ma non ho mai parlato pubblicamente della mia. Forse per pudore, o per una sorta di ‘vergogna’, perché ho sempre avuto paura di poter risultare ripugnante agli occhi degli altri. Penso però che sia arrivato il momento di fare “outing”: lo farò senza filtri, perché tutti i giorni vengo a sapere di persone che arrivano alla diagnosi dopo mille peripezie, dopo anni sprecati a fare esami inutili, e che vengono prese per ‘pazze’ quando non lo sono. Proprio come me: io ci ho messo 25 lunghi anni per ricevere la diagnosi di sindrome del vomito ciclico (CVS).
Tutto è cominciato quando avevo 3 anni, all’inizio degli anni ‘90: avevo attacchi di vomito e nausea improvvisi e protratti nel tempo. Vomitavo numerose volte al giorno, per più giorni di fila, fino a sfinirmi. All’epoca frequentavo la scuola materna e il pediatra rassicurava i miei genitori dicendo che erano semplici virus gastrointestinali, del tutto normali per i bambini della mia età. Eppure, crescendo, questi attacchi di vomito non cessavano e nemmeno si diradavano, anzi, e ben presto qualche dubbio sulla loro ‘normalità’ cominciò ad insinuarsi nella mia famiglia.
Erano attacchi molto violenti. Cominciavano di notte o alla mattina presto, vomitavo anche più di 30-40 volte in una giornata, ma soprattutto non riuscivo a parlare, a deglutire e ad ingurgitare nulla, nemmeno la saliva, che era abbondantissima. Di quelle giornate orribili e infinite, ricordo tutto, sebbene mi sentissi ‘annebbiata’: vivevo in uno stato di torpore, di sonnolenza ed estrema debolezza, abbracciata ad un catino verde di plastica che odorava di disinfettante, perché spesso, quando avevo l’impulso di vomitare, non riuscivo nemmeno a raggiungere il water in bagno, e che usavo per sputare la saliva. Quei giorni, la cosa che più mi tormentava era il sapore terribile che avevo in bocca e la sete, una sete feroce, perché ero fortemente disidratata: ricordo che sognavo un bicchiere d’acqua come un disperso nel deserto, e soprattutto un succo di frutta, alla pera o albicocca, eppure solo il pensiero di mandare giù qualunque cosa o lo stimolo alla deglutizione innescava in me subito il vomito. Così come ogni mio movimento: anche solo girare la testa dall’altra parte del cuscino o passare da una posizione eretta a distesa, mi faceva vomitare all’istante. I miei genitori mi imploravano di bere e di mangiare qualcosa, mi davano degli zuccherini da mandare giù o – sotto suggerimento del pediatra – della Coca Cola sgasata, ma io non riuscivo ad ingerire niente. Gli unici momenti vitali, in cui riuscivo ad aprire bocca e magari ad ingoiare un anti-emetico (del tutto inutile), a parlare e a muovermi, erano i 5 minuti successivi all’episodio di vomito. Questi attacchi cessavano di solito di notte, dopo una dormita poco ristoratrice (faticavo a prendere sonno e mi svegliavo continuamente). Ricominciavo piano piano a bere, e già dalla notte chiedevo succhi di frutta e centrifughe. Ebbene, potevo finalmente realizzare il mio sogno bruciante del giorno (o dei giorni) prima: bere qualcosa di fresco e dolce. A casa mia non doveva mai mancare, dunque, il succo di frutta: doveva essere sempre disponibile al bisogno. Eppure quando stavo bene non lo bevevo mai!
Ricordo inoltre un senso di solitudine immensa: pensavo di essere l’unica al mondo a soffrire di ‘questa cosa’ senza nome; nei giorni in cui avevo questi attacchi poi venivo colta da una profonda depressione e spesso, mentre vomitavo, piangevo disperata. Confesso, con una punta di vergogna, di aver pensato a volte, nel bel mezzo dei conati, di voler morire: successivamente mi hanno spiegato che è normale, perché in quei momenti avviene un crollo improvviso della serotonina, l’ormone del buonumore. Nessuno mi capiva: i miei genitori, sebbene mi supportassero e fossero presenti, non comprendevano perché non mangiassi e non parlassi, il medico nemmeno sapeva spiegare queste crisi.
Con la preadolescenza gli attacchi cominciarono a durare di meno, 24 ore esatte, e ad essere preceduti da una forte emicrania. Non solo, soffrivo di continui attacchi di singhiozzo, che mi tormentavano giorno e notte, in pratica 24 ore su 24. Iniziarono così anche gli esami: gastroscopie, prove allergiche, test per la celiachia, risonanze magnetiche al cervello, colonscopie, phmetrie, manometrie… l’ospedale era diventata la mia seconda casa! Eppure tutto risultava a posto. Cominciarono a ipotizzare così un disturbo psicologico, di tipo psicosomatico. Mi mandarono dallo psicologo, ma anche qui non se ne venne a capo: “La ragazza non manifesta nessun disagio emotivo o problema di tipo psichico tale da giustificare questi attacchi”.
Nel frattempo sono cresciuta (fisicamente poco, infatti sono rimasta piuttosto mingherlina, anche perché ad ogni crisi perdevo almeno 2-3 kg) e ho cercato di vivere un’esistenza normale: le crisi di solito si scatenavano in concomitanza ad un’infezione, come un banale raffreddore, o anche solo in periodi di stanchezza o in occasione di eventi eccezionali (anche positivi). Potevano essere 4-5 episodi l’anno come di più, ogni periodo era a sé e vivevo nell’ansia che si scatenassero nei momenti meno opportuni: quante gite, feste, cerimonie sono state rovinate dalle mie crisi!
La svolta è arrivata a dicembre 2016, a 28 anni, in particolar modo grazie a mia mamma, che non si è mai capacitata di questo mio problema e non si è mai arresa. Dopo la mia ennesima crisi, facendo delle ricerche, è approdata al sito dell’associazione SICVO. Leggendo i sintomi di questa sindrome del vomito ciclico, improvvisamente le sembra di leggere un copione visto e rivisto centinaia di volte! Mi chiama, mi manda il link del sito, comincio a leggere e scoppio a piangere incredula: sono io! Forse non sono sola, forse non sono l’unica a stare così male. Forse non sono ‘pazza’, ma la mia è una vera e propria patologia!
Due mesi dopo mi trovo a Brescia, dal dr. Alberto Ravelli, uno dei pochissimi specialisti di questa sindrome. “I tuoi sintomi sono da manuale”, mi dice. Ricevo così la mia diagnosi, dopo una vita di sofferenze. E una terapia, sia di profilassi, sia ‘d’urto’.
Oggi, a 33 anni, la mia vita è decisamente cambiata in meglio. Ho circa una crisi all’anno, che riesco a gestire in maniera molto meno dolorosa rispetto al passato. Convivo con un importante reflusso gastroesofageo e con la sindrome del colon irritabile, due disturbi cronici che sono stati imputati alla CVS. Ma ora è tutto estremamente più facile e sereno: scoprire di non essere da sola, aver dato un nome al mio malessere, avere una terapia e conoscere altre persone che hanno vissuto il mio stesso disagio, è tutta un’altra vita!
Questa è la mia storia, ma come la mia ce ne sono tante: Francesca, Rebecca, Maria Greca, Sofia… sono solo alcuni nomi delle mie ‘compagne di battaglia’. E con un obiettivo comune: far conoscere questa sindrome, affinché nessuno debba più passare quello che ho vissuto io per gran parte della mia vita.
Leggi anche: “Sindrome del vomito ciclico, un disturbo che colpisce anche gli adulti e non solo i bambini”.
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