Cuneo - Erica Margaria, classe 1997. Una ragazza tra le tante con una malattia tra le poche, pochissime: la sindrome 4H, una forma di leucoencefalopatia ipomielinizzante associata a ipogonadismo ipogonadotropo e ipodontia. Katia, la madre, mi racconta di lei così come ha fatto un anno fa, quando l’ho intervistata, per la prima volta, per Vero Salute. L’articolo, intitolato “La malattia che ferma le lancette”, vincitore del Premio Alessandra Bisceglia per la comunicazione sociale, è stato realizzato in collaborazione con la Dottoressa Anna Ardissone dell’Istituto Nazionale Neurologico Carlo Besta di Milano, con la quale sono state analizzate le cause e le terapie sintomatiche disponibili, perché al momento non è affatto possibile parlare di cure eziologiche.
“La situazione di Erica non è migliorata rispetto all’anno scorso, anzi”, spiega Katia. “In quest’ultimo anno, da un punto di vista medico, le sue condizioni sono peggiorate. Lo scorso agosto è stata sottoposta a una risonanza magnetica la quale ha evidenziato l'evoluzione della malattia: il cervelletto si sta atrofizzando a settori e questo sta causando danni irrimediabili soprattutto per ciò che concerne il movimento. Va in palestra tre giorni a settimana per tentare di tamponare i danni ma nulla di più”. Attualmente, la piccola si sottopone a visite oculistiche periodiche - almeno ogni 6/12 mesi - dal momento che la vista sta nettamente peggiorando. Stessa cosa vale per le visite ginecologiche, ogni quattro mesi all’Ospedale Sant’Anna di Torino, per la densitometria ossea, per monitorare la sua osteoporosi, e per le visite neurologiche.
Katia ha solo un desiderio: capire se esistono altre ragazze affette da questa malattia, sapere come vivono, cosa fanno e magari confrontarsi con le altre mamme e supportarsi a vicenda. Erica ha bisogno di non essere abbandonata dalle Istituzioni ma, soprattutto, ha bisogno di non perdere quei pochi punti di riferimento che la stanno aiutando a riappropriarsi della sua allegria. “Oggigiorno frequenta l’associazione Le Nuvole, un centro che ospita ragazzi autistici e semi paralizzati”, aggiunge la madre. “Qui sono seguiti dai volontari che si adoperano per accompagnarli al cinema, a cantare al karaoke e farli vivere come i loro coetanei. Al centro ha conosciuto un ragazzo, anche lui in sedia a rotelle e si sono innamorati. Una cosa bellissima: mi auguro che mia figlia non perda questa occasione di uscire dalla condizione di emarginazione nella quale ha vissuto per tanto tempo”. Al momento, però, Katia non se la sente di parlare di futuro: “i medici sono stati chiari: devo iniziare a prepararmi a 'quel' momento; un anno, o forse due, e poi il suo corpo non riceverà più alcuno stimolo, rischiando di entrare in stato vegetativo”.
L’obiettivo di Katia incontra alcuni ostacoli. Come ha spiegato la Dottoressa Vera Bianchi, medico genetista e consulente per Info_Rare di Telethon, in Italia non è nota la prevalenza della sindrome 4H e, non essendoci un registro italiano dei pazienti, risulta difficile dire quanti ne siano stati identificati, fino ad oggi, nel nostro Paese. “Per ciò che concerne la ricerca, dal 2003 ad oggi sono stati pubblicati 36 articoli scientifici tutti orientati alla descrizione clinica della condizione”, spiega la genetista. “Successivamente, dal 2011, anno in cui è stato identificato il primo gene causativo (POLR3A), gli articoli si sono orientati all'analisi genetica dei pazienti e al relativo studio del gene. Ad oggi, si sono aggiunti altri due geni causativi”.
Per saperne di più in merito, abbiamo intervistato la Professoressa Geneviève Bernard, del Dipartimento di Neurologia e Neurochirurgia della McGill University di Montréal (Canada). “Partiamo dal presupposto che la sindrome 4H è legata all'enzima RNA polimerasi III”, spiega l'esperta. “Può essere definita come una leucodistrofia ipomielinizzante, ovvero causata da un’insufficiente deposito di mielina durante lo sviluppo. L’abbreviazione 4H significa ipomielinizzazione, ipodontia e ipogonadismo ipogonadotropo (in inglese Hypomyelination, Hypodontia, Hypogonadotropic Hypogonadism) e quindi assenza o ritardo della pubertà. Si tratta di una malattia autosomica recessiva causata da mutazioni di uno dei tre seguenti geni: POLR3A, POLR3B, POLR1C”.
Al momento è disponibile una diagnosi prenatale se le mutazioni familiari sono state identificate, ma non è possibile sapere quanti casi siano stati registrati nel mondo. “Possiamo affermare che la sindrome 4H è la seconda leucodistrofia ipomielinizzante più frequente subito dopo la malattia di Pelizaeus-Merzbacher”, prosegue Bernard. “In questi anni, la mia equipe ha descritto la forma della malattia, ha studiato le sue manifestazioni cliniche, ha identificato i tre geni che la causano e individuato i primi indizi per descrivere la fisiopatologia della malattia, ovvero perché le mutazioni di un gene causano la malattia”.
Per fare ciò, Geneviève Bernard si è avvalsa della collaborazione di diversi altri esperti: “abbiamo il privilegio di lavorare con numerosi collaboratori internazionali, tra i quali annoveriamo la Dottoressa Nicole Wolf e la Dottoressa Marjo van der Knaap, entrambe di Amsterdam, la Dottoressa Adeline Vanderver, di Filadelfia, e il Dottor Raphael Schiffmann, del Texas. Il nostro obiettivo finale è quello di individuare un trattamento per la malattia; nel frattempo gli studiosi si stanno occupando di comprendere le manifestazioni cliniche e radiologiche della malattia, la sua evoluzione e storia naturale, l’impatto che questa ha sui pazienti e sulle famiglie. Ci occupiamo anche di altre leucodistrofie ipomielinizzanti. Il mio laboratorio è interessato a comprendere i meccanismi che portano allo sviluppo anormale di mielina, al fine di sviluppare delle terapie per queste malattie”.
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