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Dottoressa Irene Bruno

Dottoressa Irene Bruno

La dott.ssa Irene Bruno (Trieste): “Se non diagnosticati e trattati precocemente, i piccoli pazienti possono non superare la prima infanzia”

La più rilevante caratteristica della parete che forma le arterie è l’elasticità, poiché esse devono saper contrarsi e rispondere alla pressione sanguigna esercitata dal battito cardiaco che pompa il sangue in tutti i distretti dell’organismo, contribuendo così alla circolazione. Immaginate che, in un neonato, le arterie più importanti, tra cui l’aorta e l’arteria iliaca, siano affette da una malattia che ne causa la calcificazione e avrete un’idea di che cosa significa nascere con la GACI, ossia la calcificazione arteriosa generalizzata dell’infanzia.

La GACI è una malattia ultra-rara (la prevalenza stimata è di circa un individuo affetto ogni 200mila nati) di cui sono stati descritti in letteratura pochissimi casi, due dei quali hanno ricevuto la diagnosi all’IRCCS Burlo Garofolo di Trieste. “Due sorelle, oggi maggiorenni, sono venute al mondo nel nostro istituto e qui hanno ricevuto la diagnosi di GACI”, spiega la dott.ssa Irene Bruno, Responsabile del Servizio di Malattie Metaboliche e Rare presso l’ospedale pediatrico triestino. “Il caso è rarissimo, dal momento che le due ragazze sono figlie di genitori non imparentati, ma anzi provenienti da Paesi diversi del mondo”. La GACI di tipo 1 è una patologia autosomica recessiva, cioè è necessario che entrambi i genitori presentino una mutazione nel gene ENPP1 affinché essa possa esprimersi nella progenie. Questo tipo di mutazione è responsabile dell’estesa calcificazione delle arterie che, di conseguenza, vedono restringersi il lume (stenosi) con gravi danni per il neonato, che va incontro a ipertensione e insufficienza respiratoria e cardiaca. “Oltre a questo, c’è da considerare il coinvolgimento neurologico”, aggiunge Bruno. “Questi bimbi, se non diagnosticati, e soprattutto non trattati precocemente, presentano gravi danni neurologici permanenti e possono non superare la prima infanzia. Fortunatamente, entrambe le ragazze che seguiamo ce l’hanno fatta”.

“Al tempo della nascita di Martina non c’era modo di eseguire una diagnosi prenatale”, prosegue la dottoressa Bruno. “Già in utero si erano notati dei segni di malattia grave, cioè il polidramnios [aumento del liquido amniotico, N.d.R.] e lo scompenso cardiaco. Alla nascita, Martina presentava ipertensione gravissima, scompenso cardiaco e convulsioni”. Inoltre, la radiografia del torace ha permesso di osservare la calcificazione dell’aorta e delle arterie iliache: un dato che, insieme all’ipofosfatemia [basso livello di fosfati nel sangue, N.d.R.], ha fatto sospettare questa rarissima diagnosi, confermata geneticamente anni dopo”. Un caso unico, risolto con celerità grazie alla prontezza dei medici del Burlo Garofolo e, in particolare, del neonatologo che ha visitato Martina, il quale ha avuto la capacità di ‘pensare raro’, cioè di allargare il ventaglio delle ipotesi diagnostiche anche a malattie poco frequenti e poco conosciute, come appunto la calcificazione arteriosa generalizzata dell’infanzia.

“Non esiste una terapia specifica per la GACI per cui la gestione clinica, oggi come allora, prevede la somministrazione di farmaci antipertensivi e, se necessario, antiepilettici”, prosegue Irene Bruno. “Purtroppo Martina ha riportato un grave danno ischemico cerebrale che ha comportato una tetraparesi spastica tale da costringerla alla sedia a rotelle: tuttavia ha superato il momento critico, le calcificazioni sono sparite e ora, a 26 anni, non assume più farmaci antipertensivi e antiepilettici”. Per quanto limitata nell’autonomia, Martina ha raggiunto un buon livello relazionale e ha anche iniziato a giocare a basket in carrozzina.

Nel caso della sorella Laura, alla nascita non si è presentato il quadro ipertensivo grave già visto in Martina. Anzi, se quest’ultima non avesse avuto una diagnosi di GACI sarebbe stato molto difficile pensare che anche Laura ne fosse affetta”, specifica la dottoressa Bruno. “Oltre a presentare un’ipertensione di più facile gestione medica, Laura manifestava minime calcificazioni arteriose e non riportava sintomi tipici della GACI al di fuori dell’ipofosfatemia: tale condizione, diversamente dall’ipofosfatemia legata al cromosoma X, non necessariamente richiede trattamento con fosfato”. Infatti, nella GACI c’è rischio di nefrocalcinosi, e poiché entrambe le sorelle non erano ipocalcemiche e non presentavano carenza di vitamina D, fornire loro la terapia che si dà ai pazienti affetti da rachitismo ipofosfatemico, basata appunto sulla somministrazione di fosfati e vitamina D attiva, avrebbe rischiato di far accumulare nei reni un eccesso di calcio. “Laura ha sviluppato un’anomalia nella crescita dei femori, che appaiono ricurvi, e una bassa statura”, afferma Irene Bruno. “Dal punto di vista scheletrico, ha un quadro radiologico di rachitismo non responsivo alla vitamina D, con un livello di fosforo ematico sempre sotto la norma, ma per il resto conduce una vita normale, viaggia per il mondo e parla altre due lingue oltre all’italiano”. In effetti, le mutazioni nel gene ENPP1 che sono associate alle GACI causano anche una forma di rachitismo ipofosfatemico autosomico recessivo.

Oggi Laura e Martina stanno entrambe bene, anche se quest’ultima ha purtroppo sperimentato le conseguenze più severe di una patologia pericolosa come la GACI: Martina, infatti, ha avuto il quadro neurologico e clinico tipico della patologia e ha rischiato di morire nella prima infanzia per i danni legati a ipertensione e scompenso cardiaco, ma per fortuna è stata prontamente presa in carico e trattata dal neonatologo, che è stato in grado di porre una brillantissima diagnosi in tempi rapidi, in un momento storico in cui le analisi genetiche erano più difficili da fare. Individuare le eventuali calcificazioni presenti alla nascita e arrivare precocemente a una diagnosi è fondamentale per la sopravvivenza dei pazienti con GACI. “Le calcificazioni devono continuare ad essere monitorate durante la crescita del bambino”, conclude la dottoressa Bruno. “La GACI condivide con il rachitismo ipofosfatemico l’ipofosfatemia e la displasia scheletrica ma richiede un intervento terapeutico diverso”.

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