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Dottor Stefano LatorreIl dr. Stefano Latorre: “Il trattamento di prima scelta è l'escissione radicale con l'uso di espansori cutanei. Lo scopo non è solo estetico, ma anche preventivo: questa malformazione predispone a un maggior rischio di melanoma”

Roma – Tutti, chi più chi meno, abbiamo dei nei, presenti fin dalla nascita o comparsi nel corso della vita. Si tratta di formazioni benigne, che non creano alcun problema, a patto che si segua, per individuare eventuali melanomi, la regola ABCDE, che prevede di controllare cinque caratteristiche del neo: Asimmetria, Bordi, Colore, Dimensione ed Evoluzione.

Problemi ben più gravi sono quelli causati da un neo (o nevo, dal latino naevus) di dimensioni superiori ai 20 centimetri. In questo caso si parla di nevo melanocitico congenito (ovvero presente fin dalla nascita) gigante: una malformazione cutanea che comporta seri problemi estetici e, di conseguenza, psicologici. In Italia la struttura di riferimento per la terapia del nevo gigante è il Bambino Gesù di Roma, con i suoi 50-60 casi l'anno, molti dei quali provenienti anche dall'estero.

Qui, nell'U.O. di Chirurgia Plastica e Maxillo-facciale dell'Ospedale Pediatrico, lavora il dr. Stefano Latorre, che ha recentemente moderato una tavola rotonda su questa malformazione, nell'ambito del VI Congresso Nazionale S.I.Der.P., l'incontro annuale della Società Italiana di Dermatologia Pediatrica.

La sessione ha rispecchiato l'approccio multidisciplinare di cui il nevo gigante necessita, con la presenza di chirurghi, dermatologi e psicologi. “Questa malformazione appare già alla nascita o nei primi giorni di vita in un neonato ogni 30.000-50.000, sotto forma di grandi macchie scure che si estendono sul volto, sul dorso e sul bacino, alle quali si aggiunge una miriade di piccoli nei, chiamati satelliti”, spiega il dr. Latorre. Il trattamento, nelle sue diverse forme, può iniziare a pochi giorni di vita e proseguire, spesso, oltre la maggiore età, a seconda del sito anatomico colpito e della dimensione del nevo. Fino a pochi anni fa, si eseguiva la dermoabrasione anche nei bambini appena nati, ma ci si è resi conto che non era efficace in quanto le cellule neviche si ripresentavano.

Oggi, il trattamento di prima scelta è quello chirurgico, che prevede un'escissione radicale o a più riprese, con l'utilizzo o meno di espansori cutanei. Questi sono fondamentalmente dei palloncini di silicone che vengono inseriti sotto la pelle sana vicino al nevo e poi 'gonfiati' una volta la settimana per farla dilatare, in modo da poterla utilizzare per coprire l'area lasciata libera dal nevo rimosso.

“Il trattamento chirurgico di pazienti affetti da nevo melanocitico congenito gigante prevede due fasi: l'escissione e la ricostruzione. L’escissione è l’asportazione chirurgica, per mezzo di un’incisione, di tutto il tessuto interessato dalla lesione (radicale) o di una parte di tessuto (seriata, che richiede più interventi)”, prosegue il chirurgo plastico, che da quattro anni collabora con l'associazione Naevus Italia Onlus ed è anche l'unico italiano nel comitato scientifico di Global Naevus, la confederazione mondiale sulla patologia.

La ricostruzione viene effettuata con l’utilizzo di procedure come gli innesti cutanei, i lembi locali o a distanza e l’espansione cutanea. Quest'ultima è una tecnica chirurgica che consente di ottenere un aumento della superficie cutanea a disposizione per la riparazione di una perdita di sostanza, innescando nel sito di azione meccanismi di imponente ipervascolarità (angiectasia e angiogenesi) allo stesso modo di quanto avviene in natura in varie situazioni, come la gravidanza, l’allattamento o l’obesità. Viene eseguita mediante l’inserzione nel piano sottocutaneo di un espansore, un palloncino di silicone di varie dimensioni e capacità, provvisto di valvola a distanza. La fase di follow-up post-operatoria prevede medicazioni ambulatoriali e riempimento dell’espansore con soluzione fisiologica, con cadenza settimanale e per un periodo medio complessivo di circa due mesi”, sottolinea Latorre.

Altre opzioni sono il curettage o la laserterapia, terapie ancillari che riducono la massa nevica ma non costituiscono un trattamento radicale; o l'innesto cutaneo, a cui si ricorre in caso di nevi estremamente estesi. Se si opta per la chirurgia, è inevitabile che restino delle evidenti cicatrici, che tuttavia si cerca di limitare e nascondere per quanto possibile. I satelliti, invece, vengono tenuti sotto controllo, oppure si asportano solo quelli più a rischio.

Un percorso lungo che ha delle pesanti ripercussioni psicologiche, specialmente nell'adolescenza: i ragazzi non accettano il corpo che vedono allo specchio, così diverso da quello che vorrebbero. Questo aspetto è stato sottolineato nel corso della tavola rotonda dalla psicologa Rosalba Semeraro, responsabile degli interventi psicosociali di Naevus Italia Onlus e del progetto ICONA, sulla percezione dell’identità corporea nella società dell’immagine. Proprio lo scorso settembre l'associazione, guidata da Luca Patè e Corrado Gianì, ha organizzato a Mentana (Roma) il suo 11° Raduno Nazionale delle famiglie Naevus.

Ma l'aspetto psicologico non è l'unico ad influenzare negativamente la qualità di vita delle persone con nevo melanocitico gigante: “Lo scopo della chirurgia non è solo estetico, ma anche preventivo”, fa notare il dr. Latorre. “Infatti questa malformazione predispone a un maggior rischio di trasformazione maligna in melanoma, anche in età pediatrica. Un rischio basso, ma pur sempre presente”.


Per approfondire l'argomento è possibile leggere i seguenti articoli:

Nevo melanocitico congenito gigante, dieci anni di battaglie per il riconoscimento di malattia rara

Nevo melanocitico congenito gigante: la storia di Anna

Nevo melanocitico congenito gigante, la storia di Enza

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