Milano – La febbre nei bambini è sempre un motivo di allarme per i genitori. Sebbene sia una condizione molto comune in età pediatrica e, nella maggior parte dei casi abbia una causa facilmente riconoscibile, come le infezioni respiratorie o intestinali, secondo un recente studio condotto dal Policlinico di Milano, in circa il 20% dei piccoli pazienti l’elevazione della temperatura resta senza apparente spiegazione, anche dopo un’accurata anamnesi e un’attenta valutazione dei dati obiettivi. Sono questi i casi più complessi, quelli che richiedono un intervento tempestivo: febbri periodiche o ricorrenti possono essere la spia di malattie autoinfiammatorie o autoimmuni.
“La febbre è un sintomo molto frequente in pediatria soprattutto nei primi mesi e nei primi anni di vita, quando le malattie infettive ne rappresentano la causa preponderante - afferma la Prof.ssa Susanna Esposito, Direttore dell’Unità di Pediatria ad Alta Intensità di Cura della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Università degli Studi di Milano e Presidente WAidid, Associazione Mondiale per le Malattie Infettive e i Disordini Immunologici. Quando, però, la febbre è periodica o ricorrente potrebbe essere la manifestazione di una patologia potenzialmente infausta, come può essere una malattia autoinfiammatoria o autoimmune, che deve essere condotta nel modo più tempestivo e preciso possibile. A tal fine abbiamo attivato presso la nostra Unità di Pediatria il nuovo centro dedicato ai bambini affetti da FUO, un ambulatorio specializzato nel trattamento dei soggetti a rischio o che necessitano un iter diagnostico-terapeutico complesso”.
I casi di febbre di origine sconosciuta sono, pertanto, più difficili da diagnosticare nei bambini di età inferiore ai 3 anni, soprattutto quando non vi sono sintomi o reazioni evidenti o quando, come avviene in presenza di malattie autoinfiammatorie associate a febbre periodica, si assiste ad un completo benessere del bambino nei periodi che intercorrono tra un episodio febbrile e l’altro.
“Una tempestiva diagnosi dei casi di FUO - precisa Susanna Esposito - è fondamentale per individuare la terapia più adeguata e per evitare ciò che era la regola fino ad un decennio fa, quando un piccolo paziente veniva sottoposto ad una lunga serie di esami e immediatamente trattato con antibiotici; con il risultato di un iter diagnostico-terapeutico complesso e pesante per bambini e genitori”.
Evidenze scientifiche recenti hanno dimostrato che la FUO può essere il sintomo anche di patologie rare ad eziopatogenesi non completamente nota, tra cui la malattia di Kawasaki, una vasculite acuta sistemica che colpisce i vasi di medio e piccolo calibro di tutti i distretti dell’organismo, autolimitante, probabilmente multifattoriale.
Malattia rara che nell’80% dei casi colpisce neonati e bambini di età inferiore ai 5 anni, con una lieve preponderanza per il sesso maschile, la malattia di Kawasaki è caratterizzata da febbre per oltre 5 giorni, associata a 4 o più dei seguenti segni o “criteri clinici”: iperemia congiuntivale bilaterale non secretiva, alterazioni delle labbra e della mucosa orale, anomalie delle estremità, rash cutaneo polimorfo e linfoadenopatia cervicale acuta non purulenta.
Nelle forme complete, però, i segni clinici caratteristici compaiono in successione nell’arco di 1-2 settimane e pertanto all’esordio è spesso difficile sospettare la malattia.
La complicanza più temibile è rappresentata dagli aneurismi coronarici, la cui incidenza viene ridotta dal 15-25% a meno del 5%, quando i pazienti sono trattati con immunoglobuline entro il decimo giorno dall’esordio della febbre.
La durata della malattia oscilla fra le quattro settimane e i tre mesi ma, a causa delle complicazioni vascolari, potrebbe essere necessario monitorare le condizioni cardiache del paziente anche negli anni a seguire.
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