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Uno studio statunitense chiarisce il ruolo della dopamina in alcune forme della rara patologia

Da un anno a questa parte la Sindrome di Angelman, un raro disordine dello sviluppo neurologico di origine genetica, viene trattata con il farmaco L-DOPA.
La Levadopa, un intermedio nella via biosintetica della dopamina utilizzata comunemente per il trattamento del morbo di Parkinson, è stata utilizzata per la Sindrome di Angelman sulla base della somiglianza di alcuni dei sintomi delle due patologie.

Un recente studio statunitense, pubblicato sul Journal of Clinical Investigation, ha cercato di comprendere perché questo farmaco ha effetto sulla rara sindrome. Lo studio, condotto su modelli animali affetti da sindrome di Angelman, suggerisce che la L-Dopa potrebbe compensare la perdita della dopamina nel cervello e migliorare i sintomi motori. Suggerisce anche che il farmaco potrebbe aggiungere dopamina a un livello già alto del neurotrasmettitore, con impreviste conseguenze di iperattività ed emotività.

Secondo gli autori dello studio se i risultati ottenuti sul modello murino rispecchiassero esattamente il funzionamento del farmaco sugli umani la L-Dopa può fornire benefici per il tremore ma anche su altre caratteristiche neuropsichiatriche della malattia.
In genere infatti la malattia presenta sintomatologia di grave ritardo mentale, assenza del linguaggio, crisi di riso associate a movimenti stereotipati delle mani, microcefalia, disturbo dell’andatura, atassia e attacchi epilettici ma anche aspetto felice, l'iperattività senza aggressività, il basso livello di attenzione, l'eccitabilità, i disturbi del sonno associati ad una riduzione della necessità di dormire, elevata sensibilità al calore e attrazione per l'acqua.

La patologia è causata da diversi meccanismi genetici, come la delezione nella regione critica 15q11.2-q13 (60-75 per cento dei casi), la disomia uniparentale paterna (2-5 per cento), un difetto dell'imprinting (2-5 per cento) e la mutazione del gene UBE3A (10 per cento).
E proprio la mutazione del gene UBE34 nei topi è stata utilizzata come modello per capire il funzionamento della dopamina nella malattia. Nei loro esperimenti, i ricercatori hanno scoperto che i deficit comportamentali osservati nel modello di sindrome di Angelman non erano dovute alla perdita di cellule che producono dopamina del cervello - come nella malattia di Parkinson – o alla ridotta produzione della sostanza. Hanno invece osservato che sono dovuti alle differenze di rilascio della dopamina dalle cellule cerebrali. In particolare il rilascio di dopamina è diminuito nella via la via nigro-striatale (che controlla i movimenti) ed è aumentato nella via mesolimbica (che controlla le emozioni).

Questo potrebbe essere il motivo per cui i pazienti con la sindrome hanno generalmente un ottimo umore, una “disposizione felice”.  Aumentare il livello generale della dopamina però non sembra migliorare ulteriormente la disposizione die topi, sembra anzi che gli animali ai quali è stata somministrata dopamina siano meno motivati ai meccanismi di ricompensa.
Purtroppo però uno degli altri sintomi della malattia, la quasi totale assenza di comunicazione, rende molto difficile agli scienziati capire se effettivamente la somministrazione della dopamina peggiora l’umore dei pazienti. Per questo gli scienziati consigliano test clinici per valutare attentamente i cambiamenti d’umore o l’eventuale comparsa di comportamenti compulsivi in seguito alla somministrazione del farmaco.

La sindrome di Angelman ha una prevalenza stimata tra 1/10.000 e 1/20.000. I pazienti appaiono normali alla nascita. Nei primi 6 mesi di vita possono manifestarsi disturbi dell'alimentazione e ipotonia, seguiti da ritardo dello sviluppo tra i 6 mesi e i 2 anni. In genere i sintomi caratteristici della AS si manifestano a partire dal primo anno di vita.

Per ulteriori informazioni potete consultare Orphanet.

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