Linfoistiocitosi emofagocitica

Ugo Ricciardi (AILE): “La perdita di un figlio è terribile: ho voluto creare l’associazione per trasformare la rabbia in qualcosa di utile”

Da quasi 10 anni l’Associazione Italiana Linfoistiocitosi Emofagocitica (AILE) è al fianco delle famiglie che si trovano di fronte alla diagnosi di linfoistiocitosi emofagocitica (HLH). Supporto alla ricerca, condivisione di esperienze e sostegno alle famiglie: questi gli obiettivi dell’associazione fondata nel 2015 dalla famiglia e dagli amici di Mario Ricciardi, scomparso nel 2012 a soli 14 anni proprio a causa dell’HLH. Le malattie rare sono quelle su cui è più difficile fare ricerca e l’AILE nasce per far sì che il diritto alla salute e l’accesso alle cure mediche sia garantito a tutti, anche se ancora oggi la linfoistiocitosi emofagocitica resta un mistero sotto molti aspetti. Ne abbiamo parlato con Ugo Ricciardi, papà di Mario e presidente dell’Associazione.

COS’È LA LINFOISTIOCITOSI EMOFAGOCITICA?

Consiste in una serie di sintomi legati all’attivazione e alla proliferazione incontrollata di alcune cellule del sistema immunitario (i macrofagi, i linfociti T citotossici e le cellule Natural Killer): la linfoistiocitosi emofagocitica fa parte delle sindromi istiocitarie, un gruppo di malattie causate dalla produzione eccessiva di cellule conosciute come istiociti. Le cellule che in condizioni normali si occupano di difendere il nostro organismo da tumori o infezioni, nell’HLH attaccano anche le cellule sane e provocano una infiammazione sistemica. Questo significa che la lifoistiocitosi emofagocitica è una malattia potenzialmente letale, che comporta sintomi legati alla iperproduzione di citochine con danni a carico di diversi organi e una prognosi complessa.

Ne esistono due forme: la primariaanche detta familiare, e la secondariao acquisita. Nella forma primaria è possibile risalire a una familiarità della condizione – cioè altri familiari affetti e portatori – e a mutazioni specifiche nei geni che codificano per la perforina, nel gene MUNC13-4 o, più raramente, nel gene STX11, che codifica per la sintassina. Colpisce circa un nuovo nato su 50mila (in Italia si stimano circa 10 casi all’anno), con le prima manifestazioni tendenzialmente entro i 18 mesi. Nel 30% dei casi non è possibile identificare alcuna alterazione genetica: in questi casi va esclusa la possibilità di forma secondaria prima di confermare la diagnosi. La forma acquisita si può manifestare come complicanza di altre malattie, come ad esempio influenze e infezioni, ma in alcuni casi non è chiaro come insorga. Anche l’età in cui esordisce è molto variabile.

Le manifestazioni più comuni – e che valgono per entrambe le forme – sono: febbre elevata senza causa apparente, linfoadenopatie, epato-splenomegalia, compromissione della funzionalità epatica, (pan)citopenia, iperferritinemia, ipertrigliceridemia, ipofibrinogenemia, nonché coagulopatia e, in molti casi, manifestazioni neurologiche. Oggi la malattia si conferma dopo aver rilevato 5 segni clinici principali sugli 8 stabiliti dagli studi internazionali.

Nel caso della forma primaria, dopo aver ridotto lo stato di infiammazione incontrollata si procede al trapianto di midollo – quando disponibile un donatore compatibile – per sostituire il sistema immunitario difettoso con uno sano. Ci sono poi protocolli che prevedono l’utilizzo di chemioterapia, immunoterapia e corticosteroidi, ma non vi sono farmaci specifici approvati per l’HLH. Per la forma secondaria i farmaci utilizzati sono per lo più il cortisone e la ciclosporina, ma anche i chemioterapici. Studi recenti, con trial clinici anche in Italia, hanno valutato anche l’utilizzo di anticorpi monoclonali contro l’interferone-gamma.

MOLTE DOMANDE, POCHE RISPOSTE

Purtroppo, ad oggi non esiste alcun test specifico per ottenere una diagnosi certa di HLH e la malattia, in assenza di terapia, è rapidamente fatale. “La conoscenza di questa patologia è ancora troppo limitata, anche nella comunità medica, e questo ritarda diagnosi e presa in carico”, spiega Ricciardi. “Inoltre, un grande problema che riscontriamo da anni è la mancanza di un centro e di medici specializzati nel trattamento degli adulti che la manifestano. Anche come associazione, quando ci chiedono consiglio su questo, andiamo molto in difficoltà. Per fortuna i medici pediatrici sono molto disponibili a contattare i centri che seguono i pazienti adulti per dare consigli sulla gestione della malattia, ma c’è un evidente limite nella gestione del paziente non pediatrico, e questo è un problema a livello internazionale”.

A ciò si aggiunge la questione della localizzazione dei centri specializzati, che sono poco diffusi e non presenti in tutte le regioni. “Questo significa che le famiglie devono spostarsi e soggiornare lontano da casa per periodi anche lunghi, perché le terapie richiedono molti giorni in ospedale, specialmente all’inizio, quando si protraggono per mesi, o quando si va incontro al trapianto di midollo”, continua il presidente di AILE. “Nel caso della HLH primaria, che insorge nei primi anni di vita, non si pone il problema della frequenza scolastica, ma inevitabilmente nella gestione familiare i problemi ci sono. La frequenza scolastica è difficoltosa per i più grandi, principalmente a causa dell’immunodepressione. La possibilità delle lezioni online ha aiutato”.

LE ATTIVITÀ DI AILE

AILE nasce a gennaio 2015 e tra pochi mesi supererà il traguardo dei 10 anni di attività: è un’associazione nata principalmente dalla volontà di Ugo Ricciardi e dal supporto di familiari e amici del giovane Mario. “Forse non c’è male peggiore di perdere un figlio. C'è rabbia, tanta rabbia, e te la vorresti prendere con il mondo intero. L’unica cosa che ho trovato utile per riversare dolore e rancore è stato cercare di trasformare tutto questo in un'energia positiva”, racconta Ugo Ricciardi. “Creando l'associazione, mettendo insieme le prime famiglie, siamo andati avanti a piccoli passi con il supporto di alcuni medici. Il mio obiettivo era quello di aiutare le famiglie, di dare delle prime indicazioni, perché quando ci siamo trovati ad avere la diagnosi di questa malattia ci è crollato il mondo addosso e non abbiamo trovato qualcuno con cui condividere lo stesso dramma. Pian piano siamo cresciuti, ma il problema è che spesso di queste famiglie poi si perde traccia perché - che vada bene o male - non tutti sono poi disposti a rimanere nel gruppo”.

Le attività di questa piccola associazione sono tante, come dimostra il ricco sito web che le descrive, e non si limitano al territorio italiano: ad esempio AILE è stata promotrice, con Stati Uniti e altre nazioni, della creazione di un gruppo internazionale sulla HLH. Sul sito vengono dell’Associazione sono condivisi mensilmente tutti gli articoli scientifici sul tema: non semplicemente riportando i vari studi, ma spiegando e traducendo i concetti principali, a beneficio della comunità.

“A un certo punto abbiamo iniziato anche a raccogliere fondi per sostenere la ricerca e 6-7 anni fa abbiamo inaugurato il Premio per il Migliore Articolo Scientifico su tematiche concernenti la linfoistiocitosi emofagocitica, in memoria di Mario Ricciardi, che va a premiare i 2 migliori articoli scientifici pubblicati nel biennio precedente. Siamo alla terza edizione, che è stata indetta il 15 settembre, in occasione della Giornata dedicata alla malattia”, conclude Ricciardi. “Per supportare la ricerca italiana invece, siamo alla seconda edizione di un bando destinato a finanziare progetti di studio sulla HLH. Quest’anno il premio, pari a 30mila euro, è stato assegnato ad Arianna De Matteis, medico pediatra della divisione di Reumatologia dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma, per una ricerca innovativa sulle forme secondarie di HLH. Trattandosi di malattia molto rara, è particolarmente difficile trovare i fondi, ma noi non ci fermiamo: è un’attività che porto avanti col cuore, con l’obiettivo di sostenere le famiglie e la ricerca su questa terribile malattia”.

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