MENU
APDS: una rara immunodeficienza

La rarità e complessità della patologia rendono diagnosi e trattamento una sfida ancora aperta, ma oggi esiste una prima terapia mirata

La sindrome da attivazione di PI3K-delta (APDS) è una rara immunodeficienza primitiva causata da mutazioni genetiche che portano a un'iperattivazione della via di trasduzione del segnale che coinvolge la proteina fosfoinositide 3-chinasi-delta (PI3K-delta). Questa condizione provoca anomalie nel sistema immunitario, tra cui linfoproliferazione, infezioni ricorrenti – specialmente quelle che colpiscono il tratto respiratorio superiore – e autoimmunità. Il trattamento dell'APDS si concentra principalmente sulla gestione dei sintomi, includendo terapia sostitutiva con immunoglobuline, profilassi antimicrobica e farmaci immunosoppressori, ma di recente l'attenzione si è spostata verso opzioni terapeutiche mirate, come gli inibitori selettivi di PI3K-delta.

Descritta per la prima volta nel 2013 e con poco più di 20 casi confermati in Italia - il dato a livello mondiale non è noto, ma si stimano 1-2 casi per milione - la APDS è causata da mutazioni a carico dei geni PIK3CD e PIK3R1, che danno origine a due diverse forme di malattia, rispettivamente la APDS1 e la APDS2. Entrambi i geni sono importanti per la crescita, la sopravvivenza e la funzionalità di alcuni tipi di cellule immunitarie: i linfociti T e B (o cellule T e B), cioè quei globuli bianchi specializzati nel riconoscere e attaccare ciò che è estraneo all’organismo (tra cui virus e batteri) e a combattere le infezioni. L’ereditarietà della patologia è di tipo dominante: questo significa che è necessaria una sola copia del gene mutato per causarla, e che il rischio di trasmettere la mutazione da un genitore affetto al figlio è del 50% per ogni gravidanza.

Le persone con una diagnosi di APDS nascono con un sistema immunitario non correttamente funzionante e, di conseguenza, contraggono spesso infezioni che possono essere molto difficili da trattare, anche se banali come un raffreddore. I sintomi possono essere variabili, da lievi a molto gravi, ma in generale si presentano nella prima infanzia e includono otiti, infezioni sinusali e polmoniti. Le frequenti infezioni delle vie respiratorie possono portare allo sviluppo di bronchiectasie, specialmente nella forma APDS1. Altrettanto comuni le infezioni virali, come quelle da herpes virus. Altre complicanze note della malattia sono linfonodi ingrossati, aumento di volume di fegato o milza, infiammazione dell’intestino, infezioni cutanee, ritardo nella crescita e nello sviluppo neurologico e autoimmunità. Quest’ultima è particolarmente complessa da gestire perché il sistema immunitario attacca le proprie cellule sane, con un grosso impatto negativo su organi e tessuti. Lo scenario peggiore vede la comparsa di un linfoma che, stando ai dati disponibili, nei pazienti affetti da APDS ha un’incidenza del 78%.

La diagnosi della sindrome da attivazione della fosfoinositide 3-chinasi-delta si basa sull’osservazione clinica e sulla valutazione di diversi parametri di laboratorio. La rarità della APDS, la sua recente scoperta e la varietà – e non specificità – delle sue manifestazioni rendono difficile individuare la patologia, soprattutto in fase iniziale, con conseguente ritardo diagnostico. Poiché la malattia assomiglia ad altre immunodeficienze, come ad esempio la sindrome da iper-IgM, è necessario effettuare l’analisi genetica per confermare la diagnosi.

Al momento non esiste un protocollo standard per il trattamento della APDS e gli attuali approcci terapeutici sono volti alla gestione dei sintomi. La malattia viene generalmente trattata con la combinazione di una terapia sostitutiva a lungo termine a base di immunoglobuline, per aiutare a sostenere il sistema immunitario, e di farmaci immunosoppressori, per contrastare i sintomi dovuti all'autoimmunità e all'infiammazione. Inoltre, le persone affette da APDS possono avere bisogno di antibiotici quotidiani per prevenire le infezioni prima che si verifichino, ma questa è una pratica appropriata solo nei casi di grave immunodeficienza del compartimento delle cellule T; in tutti gli altri casi si procede in base al quadro clinico e immunologico, cercando di limitare il più possibile l’assunzione di antibiotici come profilassi. A seconda delle complicanze che sopraggiungono si possono utilizzare vari supporti, come quelli respiratori, e affrontare percorsi terapeutici specifici, tra cui terapia occupazionale, fisioterapia toracica e logopedia. In alcune persone che non rispondono ai trattamenti standard è stato utilizzato il trapianto di cellule staminali ematopoietiche allo scopo di sostituire il midollo osseo con cellule staminali sane in grado di ripristinare un sistema immunitario funzionante, ma questa opzione è da valutare con attenzione a causa delle sue possibili complicanze.

Nel 2023 la Food and Drug Administration (FDA) statunitense ha autorizzato l’uso del primo farmaco specifico per l’APDS, indicato per pazienti di età pari o superiore a 12 anni: si tratta di leniolisib (nome commerciale Joenja), un inibitore selettivo della proteina PI3K-delta. L'Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) sta attualmente valutando l’approvazione della molecola, con il Comitato per i Medicinali per Uso Umano (CHMP) che ne ha già riconosciuto il beneficio clinico e la sicurezza ma ha richiesto ulteriori dati relativi al processo di produzione. La speranza è che l’arrivo della prima terapia mirata possa contribuire a migliorare la qualità di vita dei pazienti.

Seguici sui Social

Iscriviti alla Newsletter

Iscriviti alla Newsletter per ricevere Informazioni, News e Appuntamenti di Osservatorio Malattie Rare.

Sportello Legale OMaR

Tumori pediatrici: dove curarli

Tutti i diritti dei talassemici

Le nostre pubblicazioni

Malattie rare e sibling

30 giorni sanità

Speciale Testo Unico Malattie Rare

Guida alle esenzioni per le malattie rare

Partner Scientifici

Media Partner


Questo sito utilizza cookies per il suo funzionamento. Maggiori informazioni