Il Prof. Alberto Momoli, Presidente SIOT: “Parliamo di una patologia molto invalidante, che va necessariamente gestita con approccio multidisciplinare”
Roma – In Italia soffrono di emofilia circa 5mila persone, oltre 32mila in Europa, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità. Malattia rara di origine genetica, l’emofilia è legata alla coagulazione del sangue e colpisce soprattutto i maschi perché l'anomalia genetica prevalentemente correlata alla patologia è situata sul cromosoma X; le donne possono essere, però, portatrici sane. In occasione della Giornata Mondiale dell’Emofilia, la SIOT, Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia, si sofferma sul ruolo dell’ortopedico nel trattamento dei pazienti emofilici e sulle complicanze articolari associate alla patologia.
“L'emofilia è una malattia congenita rara che può causare importanti patologie a livello articolare come ad esempio l'artropatia emofilica, una complicanza che è estremamente invalidante”, spiega il Prof. Alberto Momoli, Presidente SIOT e Direttore UOC Ortopedia e Traumatologia Ospedale "San Bortolo", Vicenza. “Le emorragie articolari, infatti, possono danneggiare la cartilagine dei tessuti spugnosi molli presenti nelle articolazioni e la sottile membrana che le riveste. Il ruolo dell'ortopedico deve essere quello di monitorare il paziente insieme all'ematologo e a tutti coloro che fanno parte del suo percorso di cura, seguendone l’evoluzione e mantenendo sotto costante controllo quelli che sono gli stati degenerativi delle cartilagini. Il trattamento, dal nostro punto di vista, riguarda quindi il follow up del paziente, valutando, di volta in volta, la necessità di attuare terapie specifiche che possono andare dalle infiltrazioni fino alle protesi più complesse. Oltre alla funzione articolare che può presentare vari gradi di degenerazione, l’ortopedico affronta insieme al paziente anche la gestione del dolore”.
Esistono vari tipi di emofilia: la A è la forma più comune ed è dovuta ad una carenza del fattore VIII della coagulazione, presente in un caso ogni 10.000 maschi; la B è provocata dalla carenza del fattore IX della coagulazione e colpisce un individuo ogni 30.000 maschi; la C, molto più rara, è causata dalla mancanza del fattore XI. Il gene che codifica le informazioni per la produzione del fattore XI è localizzato sul cromosoma 4, mentre per l’emofilia A e la B il gene è localizzato sul cromosoma X. L'emofilia di tipo C riguarda indistintamente maschi e femmine. (Dati ISS)
“L’intervento tempestivo e la diagnosi precoce sono fondamentali da parte dell'ortopedico, per questo l’informazione e la formazione di tutta la comunità ortopedica è determinante", prosegue Momoli. "I pazienti emofilici, in generale, vengono seguiti da centri di riferimento altamente specializzati in cui la collaborazione tra le varie figure, quindi l'ematologo in primis, l’ortopedico e i fisiatri, è cruciale per ottenere un corretto inquadramento diagnostico terapeutico. Per valutare proprio l'evoluzione e il grado di degenerazione delle articolazioni del paziente l’ortopedico può aver bisogno di indagini standard radiografiche come ecografie e risonanza magnetica”.
Un ruolo importante nei pazienti emofilici lo assume, poi, l’attività fisica che deve essere leggera ma costante nel tempo e seguita da uno specialista. Nell’ottica di un adeguato stile di vita che prevenga i sanguinamenti, oltre ovviamente alla terapia profilattica, è importante collaborare, infatti, con un riabilitatore che imposterà gli esercizi fisici più adatti a mantenere sempre le articolazioni in movimento.
La Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia ha istituito nel suo interno un Comitato Scientifico per l’Emofilia e, più in generale, le malattie rare, presieduto dal Professor Christian Carulli, Centro Traumatologico Ortopedico Universitario di Careggi, Firenze con l’obiettivo di creare un gruppo di specialisti ortopedici per questo tipo di patologie.
“Nel caso dei pazienti emofilici – evidenzia Christian Carulli – è molto importante non solo una terapia innovativa ma offrire loro la sicurezza di essere sempre seguiti da un team multidisciplinare che li accompagni nel loro percorso di cura attraverso terapie mirate e la chirurgia laddove sia l’unica opzione. La nostra filosofia è quella della prevenzione prima possibile e intervento chirurgico solo con precise indicazioni e, se possibile, tardivamente. La sinovite, cioè la degenerazione articolare precoce a carattere infiammatorio, può già determinare i sintomi. In questi casi possono essere indicati l’attività fisica e lo sport, oltre ai farmaci e la fisioterapia intesa come applicazione di mezzi fisici o uso di tutori. E poi ci sono anche forme di terapia come le infiltrazioni che sono di varie tipologie e natura secondo le indicazioni che permettono di ridurre i sintomi e rendere migliore la qualità della vita dei pazienti”.
Seguici sui Social