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La sindrome da distress respiratorio (Respiratory Distress Syndrome - RDS) è il termine usato per descrivere una condizione che si verifica nei neonati prematuri e che causa insufficienza respiratoria: parliamo dunque di una sindrome dispnoica. Quando ci si riferisce all’RDS si parla di un quadro di sintomi più che di una malattia: le causa infatti possono essere differenti anche se in genere per questa sindrome la causa si può ricondurre alla Malattia delle Membrane Ialine (MMI). La patologia è determinata da una carenza a livello polmonare del "surfattante", ossia di quella sostanza tensioattiva prodotta dal polmone che impedisce il collasso degli alveoli polmonari durante gli atti respiratori.

La sindrome di Hunter è una malattia metabolica estremamente rara detta anche mucopolisaccaridosi di tipo II (MPS II), ed è causata dalla carenza dell'enzima iduronato-2-sulfatasi (IDS). Si tratta dunque di una malattia lisosomiale. Secondo le stime, al mondo vi sono meno di 10.000 persone colpite da questa patologia (la MPS II si presenta in circa 1 maschio su 100-170.000). La malattia è essenzialmente caratterizzata da macrocefalia, ritardo mentale e disturbi dell'umore e del carattere, che possono anche dare luogo a un'aggressività anormale.

In Italia, la sindrome di Hunter è inserita tra le malattie rare esenti. Il codice di esenzione della patologia è RCG140 (afferisce al gruppo "Mucopolisaccaridosi").

La sindrome di Hunter si manifesta in due forme che differiscono tra loro per la gravità dei sintomi e le aspettative di vita.
La più grave è la forma A, che insorge precocemente, può portare alla morte intorno al 15° anno di vita e ha molte analogie con un’altra forma di mucopolisaccaridosi, la malattia di Hurler. La variante A si caratterizza per lineamenti facciali grossolani, bassa statura, deformazioni ossee, rigidità articolare e ritardo mentale. L'esordio della malattia si verifica, di solito, tra i 2 e i 4 anni di età, con un progressivo coinvolgimento neurologico e somatico. I pazienti possono manifestare una grave degenerazione della retina, ma la cornea rimane caratteristicamente chiara. La diarrea cronica, legata all'interessamento del sistema nervoso autonomico, e forse anche a una disfunzione della mucosa, rappresenta un problema per molti dei pazienti giovani.
La forma B ha un'insorgenza più tardiva ed è anche meno grave, permettendo la sopravvivenza dei pazienti fino all’età adulta. La perdita di udito interessa praticamente la totalità dei pazienti. Sono comuni la sindrome del tunnel carpale e la rigidità articolare, che possono portare a una perdita di funzionalità. La mielopatia cervicale, dovuta a un restringimento del canale spinale e alla compressione dei nervi, è probabilmente più comune di quanto generalmente si riconosca. E' stata osservata una discreta opacità corneale, documentabile attraverso una lampada a fessura. L'elettroretinografia ha evidenziato una disfunzione della retina, ma molto meno estesa rispetto a quella presente nella forma A. E' stato documentato un papilledema cronico senza incremento della pressione endocranica, forse dovuto alla deposizione di glicosaminoglicani nella sclera con conseguente compressione del nervo ottico a livello intrasclerale.

Fonti, classificazioni e ulteriori informazioni su Orphanet.

 


La trasmissione della malattia è ereditaria e legata al cromosoma X. Le madri, ad ogni concepimento, hanno una probabilità del 50% di trasmettere il gene difettoso ai propri figli, siano essi di sesso maschile o femminile. I padri con la Malattia di Anderson-Fabry non trasmettono il gene difettoso ai propri figli maschi, ma solamente alle figlie femmine. In funzione di un complesso meccanismo genetico noto come inattivazione del cromosoma X, i soggetti eterozigoti sviluppano la malattia in forma lieve, moderata oppure classica. In genere sono i maschi a sviluppare i sintomi in maniera più forte ma in ogni caso, anche all’interno della stessa famiglia, la malattia può presentarsi con sintomatologie ed evoluzione clinica anche molto differente.

La talassemia è una malattia che fa parte delle emopatie ereditarie recessive, è caratterizzate dalla ridotta o assente sintesi dell'emoglobina che comporta un difetto di trasporto dell'ossigeno ed ha carattere degenerativo. La talassemia è molto diffusa nelle zone mediterranee come l'Africa, la Spagna meridionale, la Sicilia e la Sardegna dove c'è un tasso di talassemia pari al 12 per cento.

L’emofilia è una malattia rara di origine genetica che comporta problemi più o meno gravi legati alla coagulazione del sangue e si manifesta solo nei maschi mentre le donne possono essere portatrici sane. Questo perché si tratta di una condizione emorragica che si eredita attraverso il cromosoma X (x-linked) ed è caratterizzata dalla carenza di uno specifico fattore della coagulazione. Sarebbe tuttavia più corretto parlare di ‘emofilie’ - al plurale - poiché ne esistono principalmente due forme  - Emofilia A ed Emofilia B: la prima è dovuta alla carenza di Fattore Otto (VIII) mentre l’Emofilia B alla carenza di Fattore Nove (IX). La prevalenza è 1 caso ogni 10.000 per l’Emofilia A, che è dunque il tipo più diffuso, e 1 caso ogni 30.000 per l’Emofilia B. Le manifestazioni sono simili ed in entrambe i casi e più che dal tipo dipendono dalla gravità della malattia che viene determinata in base alla gravità della carenza di attività del fattore coagulante.  
Se il valore dell’attività del fattore coagulante è minore all’1% di parla di emofilia grave, se la percentuale di attività è tra 1 e 5 si parla di emofilia moderata e se invece è tra il 5% e il 40% si parla di emofilia lieve, tanto per il tipo A che per il tipo B.
In genere le persone affette da emofilia oltre alle problematiche tipiche dello stato emorragico presentano anche altre complicanze correlate alla malattia. Nei soggetti che hanno una emofilia grave ad esempio, che provoca con frequenza e anche in assenza di traumi significativi delle emorragie, che spesso si manifestano negli arti (come il gomito, il polso o magari la caviglia), se non adeguatamente trattati fin dall’infanzia possono portare ad artopatia cronica che causa rigidità e deformazione dell’articolazione. Anche se minore in caso di trauma  il soggetto emofilico può rischiare anche emorragia cerebrale. Diffuse sono anche le emorragie muscolari, che possono dare gravi difficoltà nel movimento, e ancora emorragie gastro-intestinali (ematemesi, melena, proctorragia), emorragie in cavità (emotorace, emoperitoneo, emopericardio), emorragie dell’oro-faringe, emoftoe, epistassi, ematuria, emorragie oculari, ematomi spinali. Sebbene rare, alcune di esse sono urgenze mediche, che devono essere diagnosticate e trattate precocemente specie se possono mettere in pericolo le funzioni vitali (es: emoftoe, emorragie lingua e collo ecc).
Attualmente nel nostro paese ci sono circa 50 Centri Emofilia. In alcune regioni, come in Emilia-Romagna, sono organizzati in una rete secondo il modello ‘Hub and Spoke’ e utilizzano una stessa cartella clinica ambulatoriale ‘web-based’ che contiene i dati salienti di tutti i pazienti.
I malati di emofilia provengono praticamente sempre da famiglie con una familiarità verso la malattia e questo rende più facile la diagnosi nel caso in cui si manifestino emorragie di una certa entità con lenta risoluzion e si riscontri un allungamento dell’aPTT in corso di esami ematochimici (nella norma invece risultano il tempo di protrombina (PT), il tempo di emorragia e la conta piastrinica).  Per arrivare alla diagnosi definitiva si fa il dosaggio dei due fattori coagulanti otto e nove e, attualmente, viene eseguita anche la ricerca della specifica mutazione genica che porta alla malattia, alle donne può fatta la diagnosi di portatrice sana, mentre le tecniche di diagnosi prenatale vanno affinandosi sempre più sia in precisione che in precocità e sicurezza per il feto.
Attualmente il trattamento dell’emofilia avviene attraverso la somministrazione del fattore coagulativo carente nel momento dell’insorgere dell’emorragia:  più precoce è il trattamento migliore è il risultato. I due principali regimi terapeutici sono: la terapia “on demand” (a domanda) e la profilassi.
La cura dell’emofilia ha avuto grandi sviluppi negli ultimi decenni; nei paesi più evoluti come l’Italia, da anni ossia da quando sono disponibili in commercio i concentrati, viene largamente utilizzata l’autoinfusione domiciliare. L’utilizzo da parte dei pazienti di questi farmaci ad altissimo costo, avviene sotto la guida e il controllo periodico dei centri emofilia.
In molte regioni italiane, dal 1976, il trattamento domiciliare è stato reso possibile grazie a leggi regionali ad hoc che permettono, dopo idoneo corso di formazione, di abilitare i pazienti e/o i loro assistenti ad eseguire la terapia a domicilio senza la presenza del personale sanitario.
I Centri Emofilia organizzano periodicamente corsi di autoinfusione domiciliare, rilasciando un patentino di autorizzazione.
Il corso di addestramento, inoltre, permette al paziente e a chi lo assiste di acquisire una maggiore conoscenza della patologia, delle possibilità di terapia e quindi porta ad una migliore collaborazione con i medici per un’ottimale gestione della malattia.
L’autoinfusione fornisce al paziente la possibilità di un trattamento tempestivo degli episodi emorragici (aumentando la possibilità di risolvere prontamente l’emorragia) e consente l’esecuzione a domicilio della profilassi e dell’immunotolleranza.
I pazienti che eseguono l’autoinfusione hanno il dovere di registrare le infusioni praticate (data e ora di infusione, tipo di concentrato, unità infuse, numero dei lotti) e gli episodi emorragici (data, ora di insorgenza dell’emorragia e di risoluzione, giorni persi di lavoro/scuola). Inoltre devono sottoporsi a periodici check-up presso il Centro Emofilia.
Per le fonti, la classificazione e ulteriori informazioni Orphanet

Una malattia si definisce rara quando la sua prevalenza, ovvero il numero di caso presenti in un dato momento in una data popolazione, non supera una determinata soglia. Nell’Unione Europea (Programma d'azione Comunitario sulle malattie rare 1999-2003) questa soglia è fissata a allo 0,05% della popolazione, ossia 1 caso su 2.000 abitanti: l’Italia si attiene a tale definizione. Altri paesi adottano parametri leggermente diversi, negli Usa ad esempio una malattia è considerata rara quando non supera la soglia dello 0.08%. La legge giapponese, invece, definisce rara una patologia che comprende meno di 50.000 casi (4/10.000) in Giappone.
Molte patologie sono però molto più rare, arrivando appena a una frequenza dello 0,001%, cioè un caso ogni 100.000 persone.

La bassa prevalenza non significa però che le persone con malattia rara siano poche. Si parla infatti di un fenomeno che colpisce milioni di persone in Italia e addirittura decine di milioni in tutta Europa. Del resto, il numero di malattie rare conosciute e diagnosticate oscilla tra le 7.000 e le 8.000, ma è una cifra che cresce con l’avanzare della scienza e in particolare con i progressi della ricerca genetica. Infatti la maggioranza di queste malattie hanno origine genetica e sono identificabili per un difetto dell'acido nucleico.
Attualmente esistono diverse liste di malattie rare, che si discostano a causa della mancanza di un’univoca definizione esauriente a livello internazionale.
Eccone alcune:
National Organization for Rare Disorders (NORD)
Office of Rare Diseases
Orphanet propone una lista di circa 6.000 nomi, sinonimi compresi, di patologie rare in ordine alfabetico.

In Italia l’Istituto Superiore della Sanità, su indicazione del Ministero della Sanità, ha individuato, con il Decreto ministeriale 279/2001 (Regolamento di istituzione della rete nazionale delle malattie rare e di esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie), un elenco di malattie rare esenti-ticket.
Non tutte le patologie a bassa prevalenza infatti presuppongono l’esonero dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie, ma solamente quelle presenti nell’elenco allegato al D.M. 279/2001. Il decreto prevede che siano erogate in esenzione tutte le prestazioni appropriate ed efficaci per il trattamento e il monitoraggio della malattia rara accertata e per la prevenzione degli ulteriori aggravamenti. In considerazione dell’onerosità e della complessità dell’iter diagnostico per le malattie rare, l’esenzione è estesa anche ad indagini volte all'accertamento delle malattie rare ed alle indagini genetiche sui familiari dell'assistito eventualmente necessarie per la diagnosi di malattia rara di origine genetica. L’elenco comprende attualmente 583 patologie. Alcune Regioni Italiane hanno deliberato esenzioni per patologie ulteriori da quelle previste dal decreto 279/2001.

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