La mutazione è stata individuata nel cordone ombelicale donato alla ricerca dalla famiglia di una piccola paziente, che oggi sta bene
Milano – Una particolare forma di leucemia linfoblastica acuta colpisce i bambini nel primo anno di età e, in diversi casi, è correlata all’alterazione di un gene chiamato NUTM1. L’alterazione di questo gene si verifica quando il cromosoma in cui è localizzato si rompe e si ricostituisce in una forma modificata, che caratterizza, in diversi pazienti, le cellule di questa particolare tipologia di leucemia.
Per la prima volta al mondo, i ricercatori della Fondazione Tettamanti dell’IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza hanno dimostrato che questa mutazione avviene prima della nascita. La scoperta, pubblicata sul British Journal of Haematology, è stata possibile grazie all’analisi delle cellule del cordone ombelicale di una piccola paziente che oggi sta bene, dopo aver sviluppato la malattia diversi anni fa. Il cordone ombelicale era stato conservato e donato alla ricerca scientifica dalla famiglia della bambina.
La mutazione di NUTM1 è di tipo somatico, si osserva solo nelle cellule leucemiche dei pazienti e non dei genitori e per questo è un’alterazione non ereditaria. Lo studio è stato sostenuto da Fondazione Tettamanti, Comitato Maria Letizia Verga (progetto “Passaporto Genetico”) e Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro.
“Il lavoro condotto congiuntamente dalle nostre ricercatrici Michela Bardini e Grazia Fazio è un ulteriore passo avanti nella comprensione delle componenti genetiche di questa malattia”, ha osservato Giovanni Cazzaniga, responsabile dell’Unità di ricerca di genetica delle leucemie della Fondazione Tettamanti dell’IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza. “La mutazione del gene NUTM1 fa parte delle decine di alterazioni genetiche legate all’insorgere della leucemia linfoblastica acuta e si osserva, in particolare, in circa il 5% dei bambini che ne sono colpiti nel primo anno di età. L’alterazione di NUTM1 è associata a una prognosi più favorevole della malattia, come è stato osservato in recenti ricerche internazionali, cui anche il nostro gruppo ha contribuito. Pertanto, studiare e rilevare questa mutazione, insieme alle altre alterazioni genetiche che caratterizzano questa patologia, dovrebbe consentire in futuro di definire approcci terapeutici ancora più precisi e mirati”.
La leucemia linfoblastica acuta è un tumore del sangue che origina da un tipo particolare di globuli bianchi, chiamati linfociti. È detta acuta perché in genere è aggressiva e a progressione rapida. La forma che si manifesta nel primo anno di età si osserva in meno del 5% pazienti che ogni anno sviluppano questa patologia (in Italia 35-40 nuovi casi per milione di bambini e ragazzi – fonte AIOM-AIRTUM).
Le alterazioni genetiche associate alla leucemia linfoblastica acuta, tra cui quella nel gene NUTM1 oggetto dello studio, sono chiamate traslocazioni cromosomiche: in pratica una rottura nella struttura di un cromosoma fa sì che una parte di esso traslochi in un’altra posizione sullo stesso cromosoma o a volte, addirittura, su un altro cromosoma. In genere le cellule dei mammiferi, tra cui quelle umane, sono in grado di riparare la lesione, ripristinando la struttura originaria. In alcuni casi invece lo scambio di frammenti tra cromosomi non omologhi permane, con la possibilità che insorgano diverse patologie anche tumorali.
Una specifica area di ricerca della Fondazione Tettamanti si concentra sulle mutazioni genetiche associate alla leucemia linfoblastica acuta. Grazie ai risultati di uno studio precedente, i ricercatori avevano osservato che la prognosi della malattia diagnosticata nel primo anno d’età è migliore nei pazienti in cui è alterato il gene NUTM1, mentre risulta peggiore se è coinvolto un altro gene chiamato PAX5. I risultati erano stati pubblicati nel 2020 sulla rivista Blood e allo studio della Fondazione Tettamanti avevano collaborato ricercatori dell'Università di Milano Bicocca e di altri centri clinici italiani. I risultati attuali sull’origine prenatale della mutazione di NUTM1, appena pubblicati sul British Journal of Haematology, insieme alla scoperta del 2020 e ai dati raccolti in altri studi in corso in questo ambito, vanno nella direzione di terapie sempre più mirate e precise.
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