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Le prime fase dello sviluppo socio economico di un paese sono il periodo a maggior rischio

‘Geografie della salute’ significa anche iscrivere lo studio del corpo nell’ambiente in cui vive e in cui si sviluppa, a partire dal grembo materno. Significa dunque porre una maggiore attenzione ad elementi che sono ulteriori al meccanismo genetico dell’ereditarietà mendeliana, soprattutto in una fase storia in cui ad aumentare e pesare sempre di più sono le malattie non trasmissibili e non di origine infettiva. Di questo ha parlato a Spoletoscienza, la rassegna organizzata da Fondazione Sigma Tau, il prof. Mark Hanson, che ha fondato e dirige l’Istituto di Scienze dello sviluppo dell’Università di Southampton, dirige anche il Dipartimento sviluppo e origini della salute e della malattia della facoltà di Medicina della stessa università e insegna Scienze cardiovascolari alla British Heart Foundation. Le sue ricerche riguardano diversi aspetti dello sviluppo e della salute, che vanno da quanto l’ambiente può influire sul rischio di malattie croniche – come le malattie cardiache, il diabete e l’obesità – durante il nostro sviluppo (prima e dopo la nascita), agli studi sulle popolazioni finalizzati all’individuazione precoce dei rischi per poter intervenire tempestivamente a livello di prevenzione.

“Alcune malattie non trasmissibili (Ncd) come le malattie cardiovascolari, il diabete, le malattie polmonari croniche e alcune forme di cancro sono le più grandi assassine del mondo – dice Hanson - L’80 per cento delle morti si verifica nei paesi a reddito medio-basso, soprattutto in seguito a un miglioramento socio-economico, a causa della riduzione delle malattie infettive. I problemi sono acuiti da uno stile di vita più sedentario e da una dieta ad alto contenuto di zuccheri, sale e grassi simile a quella occidentale. Inoltre, mentre nei Paesi sviluppati il numero delle persone che fumano è in calo, nei Paesi in via di sviluppo è in aumento, soprattutto tra le giovani donne. Le malattie non trasmissibili sono anche facilitate dal cambiamento delle dimensioni delle famiglie, da una maggiore aspettativa di vita e dall’urbanizzazione. Nei prossimi dieci anni, l’O.M.S. prevede un aumento del 17 per cento di queste malattie a livello globale. I costi economici e umanitari delle Ncd sono enormi e possono anche destabilizzare le economie  dei Paesi a basso reddito, dove dati recenti indicano che i marcatori di rischio per queste malattie si manifestano nelle fasi iniziali del processo di miglioramento socio-economico e ben prima che venga raggiunto il livello di benessere ad esse associato nelle società sviluppate. Anzi, nei Paesi in via di sviluppo molte persone sono affette da malattie non trasmissibili già a trent’anni”.
Il problema dunque è molto rilevante anche dal punto di vista dei costi economici, oltre che sociali.
“I costi di queste malattie - spiega infatti Hanson - sono motivo di grande preoccupazione. Le persone che soffrono di Ncd sono dieci volte quelle affette da Aids e, secondo il World Economic forum, probabilmente il loro impatto economico eclissa quello del riscaldamento globale. Ma le Ncd si possono prevenire, sebbene questo tipo di prevenzione non compaia tra gli Obiettivi di sviluppo del millennio. Quindi sono necessarie nuove iniziative. Gli attuali programmi volti a ridurre l’obesità negli adulti non stanno funzionando. Inoltre, i progressi nella comprensione di queste malattie sono stati lenti a causa di un’eccessiva enfasi sulle variazioni gnomiche fisse, la cosiddetta “hard inheritance” (eredità mendeliana), come determinanti di suscettibilità. Questo approccio deterministico ha compromesso i progressi nella comprensione dello sviluppo e dell’ereditarietà del rischio di malattie non trasmissibili. Ora sappiamo che certe variazioni genetiche fisse (come le piccole mutazioni e le sequenze ripetute) possono rappresentare al massimo il 5-10 per cento di tale rischio. L’attenzione deve perciò essere spostata su come nascono i rischi nelle prime fasi della vita. Per prevenire abbiamo bisogno di capire come l’ambiente in cui si sviluppa influenza le risposte di una persona allo stile di vita successivo, i processi che coinvolgono l’eredità non genomica, e in particolare i processi epigenetici, che influiscono sull’espressione e sullo sviluppo dei geni senza alterare quelli che ereditiamo dai nostri genitori. Nuove prove dimostrano la grande importanza di questa eredità “soft inheritance” (eredità lamarckiana) offrendo l’opportunità di individuare nuovi biomarcatori di rischio per le prime fasi della vita. Questo potrebbe aprire la strada a ben più efficaci interventi personalizzati per promuovere la salute durante tutto il  corso della vita. Per esempio, come abbiamo recentemente dimostrato, la rilevazione di un cambiamento epigenetico nei tessuti perinatali alla nascita permette di prevedere il 25-40 per cento delle variazioni di grasso corporeo nei bambini tra i sei e i nove anni Inoltre, questo cambiamento epigenetico è legato alla dieta della madre durante la gravidanza. Negli studi sperimentali questi cambiamenti epigenetici sono meccanicisticamente collegati a un’alterazione della funzione metabolica ma, soprattutto, possono essere invertiti da interventi nel corso dello sviluppo. È stato dimostrato che alcuni aspetti specifici dell’ambiente in cui avviene lo sviluppo, come la dieta della madre o la sua struttura corporea, i livelli di stress, la quantità di attività fisica, l’età e se questa è la sua prima gravidanza influiscono sul rischio di malattie successive nel figlio. Questi fattori agiscono, in misura maggiore o minore, in tutte le gravidanze. Certi aspetti dell’ambiente esterno sono tradotti dalla madre sia durante la vita fetale che durante l’allattamento. I segnali inviati dalla madre all’embrione, al feto e al neonato influiranno sulle sue caratteristiche. Sembra che queste influenze si siano evolute perché conferiscono idoneità darwiniana inducendo caratteristiche adeguate all’ambiente in cui la madre vive, e noi le abbiamo chiamate: risposte predittive adattive (Par). Queste caratteristiche influiscono in particolare su certi aspetti biologici come il controllo metabolico, la distribuzione del grasso, la quantità di tessuto muscolare scheletrico, il numero di cardiomiociti e di nefroni e su sistemi di controllo come l’appetito, le risposte allo stress, il momento della pubertà e così via. Tutte insieme condizionano il modo in cui l’adolescente e l’adulto reagiscono al loro ambiente. Dato che includono l’appetito e le preferenze alimentari, la propensione all’attività fisica, l’accumulo di grasso e così via, queste risposte influiscono anche sul rischio di Ncd che la persona corre. Poiché sono leggermente diverse in ognuno, le Par contribuiscono anche a determinare le differenze di rischio tra individui che sembrano avere uno stile di vita molto simile. Tuttavia, i cambiamenti introdotti sulla base delle previsioni possono rivelarsi inappropriati, sia perché i segnali inviati dalla madre sono inesatti, per esempio sono la conseguenza di una disfunzione placentare o di una dieta sbilanciata, sia perché l’ambiente è cambiato da una generazione all’altra. In questo caso, si verifica una “discrepanza” tra le caratteristiche della prole e l’ambiente in cui vive. Questa discrepanza produce un grave rischio di malattie non trasmissibili e ora sappiamo che si verifica in tutta la gamma dei segnali ambientali. Per esempio una dieta squilibrata della madre, inadeguata in un ambiente a basso reddito, può essere potenzialmente dannosa quanto la dieta ad alto contenuto glicemico di molte società occidentali. Mentre finora l’attenzione è stata puntata sui bambini nati più piccoli, che costituiscono solo una piccola percentuale della popolazione – conclude Hanson - è ormai chiaro che l’ambiente influisce sulla traiettoria di sviluppo di tutti i bambini. E la storia non finisce alla nascita: lo sviluppo epigenetico può essere influenzato dal modo in cui il bambino è alimentato dopo la nascita, dall’esposizione a infezioni o allergeni e, forse, da come l’intestino è colonizzato dai batteri commensali. Gli esiti fenotipici con conseguenze a lungo termine implicano l’interazione tra influenze genetiche, evolutive e ambientali. È impossibile separarle. Gli effetti a lungo termine della nutrizione squilibrata prima e durante la gravidanza e l’allattamento sono molto significativi, e in molte società riguardano sia la sottoalimentazione sia la sovralimentazione. Particolarmente preoccupante è l’aumento dell’obesità e dell’eccessivo accumulo di peso in gravidanza in molte popolazioni. Inoltre, nel mondo quasi 80 milioni di donne soffrono di diabete gestazionale e questo stato di sovralimentazione aumenta il rischio di obesità, diabete e altre malattie croniche anche nella generazione successiva. Si verificano così cicli di rischio di malattia su scala mondiale, aggravati dai cambiamenti socio-economici, demografici e degli stili di vita. Dobbiamo prestare urgentemente attenzione a questo problema per ragioni sia economiche e politiche sia umanitarie”

 

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