Screening per diabete e celiachia

È la prima iniziativa di questo genere stabilita da una legge nazionale e punta a identificare per tempo, tra la popolazione sana, le persone a rischio per entrambe le malattie

Essere affetti da una malattia e non saperlo: letta in questo modo poche persone rifiuterebbero di sottoporsi a un test per scoprire se appartengono o meno a tale gruppo. E così è presto spiegata l’utilità di un programma per individuare precocemente le persone a rischio di sviluppare diabete mellito di tipo 1 (T1DM) e celiachia. In un comunicato stampa diramato qualche tempo fa dall’Istituto Superiore di Sanità, si faceva riferimento a una Legge di Stato - la prima al mondo - che stabilisce l’attuazione di un programma di screening nella popolazione pediatrica per la ricerca del diabete di tipo I e della celiachia. Una scelta che equivale a un motivo di vanto per il nostro Paese e conferma l’attenzione nei confronti di patologie così intrinsecamente presenti tra la popolazione generale.

MALATTIE MOLTO DIFFUSE MA DI CUI NON SI HA SUFFICIENTE PERCEZIONE

Secondo i dati della Fondazione Italiana Diabete (FID) attualmente il diabete provoca, in tutto il mondo, circa 4 milioni di morti e 7 milioni di nuovi casi all’anno. Ma, quel che più fa riflettere è l’ampia forbice di persone (tra il 50 e l’80% di coloro che ne sono affetti) all’oscuro della propria condizione. Un aspetto che fa gelare il sangue se si pensa che esiste una forma di diabete - il T1DM, associato alla carenza (o alla totale mancanza) di insulina - che colpisce in larga parte bambini e adolescenti: questi sono costretti a ricorrere a iniezioni di insulina o all’utilizzo di microinfusori per tutta la vita. In diversi paesi d’Europa - tra cui l’Italia - si è avvertita l’urgenza di disegnare programmi specifici per l’individuazione delle persone che potrebbero sviluppare la malattia e tra i destinatari di tali programmi ci sono i parenti delle persone con T1DM o coloro che hanno un genotipo HLA associato alla predisposizione alla malattia. “Tuttavia”, come si legge in un abstract presentato alcune settimane fa a Firenze dalla Juvenile Diabetes Research Foundation (JDRF) “fino al 90% delle persone a cui viene diagnosticato il T1DM non riporta un’anamnesi familiare e sono pochissimi gli individui senza anamnesi familiare inseriti nei programmi di ricerca o presi in carico nell’ambito dell’assistenza clinica”. Tale dato costituisce il presupposto per discutere la fattibilità di un programma di screening per il diabete di tipo 1 basato sulla rilevazione degli autoanticorpi presenti nel sangue.

Un’altra forma - molto più frequente, tanto da interessare circa 9 persone su 10 con questa diagnosi - è il diabete mellito di tipo 2 (T2DM): si manifesta tardivamente, spesso con una forma di resistenza all’insulina (l’organismo non è in grado di utilizzare l’ormone) ed è la somma di fattori genetici e ambientali. La comparsa del T2DM non avviene con le modalità improvvise che contraddistinguono il tipo 1 perciò le possibilità di una diagnosi tempestiva sono affidate soprattutto al consiglio e alla raccomandazione del medico di famiglia che deve suggerire un corretto stile di vita ai suoi assistiti e richiedere l’esecuzione di esami di controllo negli individui con alcuni fattori di rischio (ad esempio, l’obesità).

GLI STRUMENTI PER LA RICERCA PRECOCE SONO DISPONIBILI

Per quanto riguarda soprattutto il diabete di tipo 1, la ricerca di autoanticorpi comprende quattro categorie: gli anticorpi anti-decarbossilasi dell’acido glutammico (GAD), gli anticorpi-2 associati all’insulinoma (IA-2), gli anticorpi anti-insulina (IA) e quelli anti-trasportatore dello zinco 8 (ZnT8). La positività a tutti (o ad alcuni) di questi esami si instaura prima che la malattia si renda manifesta: gli individui positivi a solo una categoria sono a minor rischio di evoluzione della malattia rispetto a quelli positivi a più categorie. Si stima che quasi il 45% dei bambini con almeno due tipi di questi autoanticorpi sviluppi il diabete entro 5 anni, e quasi il 100% lo sviluppi nel corso della vita. Pertanto, un programma di screening come quello proposto nel nostro Paese mette il medico nelle condizioni di seguire nel tempo il bambino, monitorandone i livelli di glucosio e prevenendo in tal modo l’instaurarsi di una condizione assai pericolosa - detta chetoacidosi - dovuta all’improvviso palesarsi dei sintomi del diabete.

Lo scorso autunno con la Legge n. 130 del 15 settembre 2023 l’Italia ha stabilito l’attuazione di un programma di screening nazionale per il diabete di tipo 1 e la celiachia, con l’obiettivo di individuare precocemente le persone a rischio di sviluppare una o entrambe queste malattie, così da offrire loro una diagnosi e un trattamento precoce. La spesa prevista per lo screening nazionale ammonta a 3,85 milioni di euro annui per il biennio 2024 e 2025 e 2,85 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2026.

L’iniziativa è la prima al mondo che prevede uno screening regolato da una legge dello Stato, come rimarcato anche in un recente articolo pubblicato dalla rivista Science e in un commento del professor Emanuele Bosi su The Lancet - Diabetes & Endocrinology.

IL PROGRAMMA D1CE SCREEN

Sulla base di un accordo con il Ministero della Salute per valutare la fattibilità e l’accettabilità del programma di screening nazionale ha preso il via il progetto pilota D1ce Screen, coordinato dalle dott.sse Olimpia Vincentini e Flavia Pricci dell’Istituto Superiore di Sanità.

“Nella fase pilota del programma, i pediatri di libera scelta di 4 Regioni (Lombardia, Marche, Campania e Sardegna) recluteranno su base volontaria bambini di 2, 6 e 10 anni a cui sarà effettuato un prelievo di sangue con la raccolta di alcune gocce di sangue”, afferma Vincentini. “Il materiale sarà poi inviato a un laboratorio di riferimento centralizzato per determinare l’eventuale presenza su siero di autoanticorpi specifici per diabete di tipo 1 (anti-GAD; anti-IA2; anti-ZnT8; anti-IA) e celiachia (anti-transglutaminasi-IgA e IgG, TGA) nonché dei profili DQ2/DQ8”. I risultati verranno raccolti dall’Istituto Superiore di Sanità e valutati da un Osservatorio, istituito dalla legge presso il Ministero della Salute.

Ad oggi, sono state già arruolate quasi 3500 persone su un totale di 5363 previste dal protocollo. “Non bisogna dimenticare che si tratta di due patologie diverse”, aggiunge la dott.ssa Pricci. “Nel caso del diabete, infatti, il test identifica nel paziente una predisposizione allo sviluppo della malattia, mentre nel caso della celiachia la positività ai test anticorpali è già di per sé conferma della diagnosi. Pertanto, appare determinante il ruolo del pediatra che ha il compito di spiegare alle famiglie l’importanza del progetto”. Sul sito del Programma D1Ce Screen sono, infatti, disponibili brochure e altri materiali informativi che i pediatri possono sfruttare per fornire un’informazione completa e rigorosa ai genitori dei bambini. “Il pediatria è incaricato di rapportarsi con le famiglie e di effettuare i prelievi”, aggiunge Pricci. “Egli è sempre nelle condizioni di interagire con gli specialisti dei centri di riferimento regionali che rimangono a disposizione per tutte le situazioni nelle quali emergeranno dei risultati positivi o nel caso di dubbi, sia da parte dei medici che dei genitori”.

I VANTAGGI DI UNO SCREENING PRECOCE

Ovviamente, c’è chi si interroga su costi economici e psicologici - sapere in anticipo che il proprio figlio sarà affetto da una malattia cronica - del programma. Le raccomandazioni JDRF vengono in aiuto nel rispondere a queste domande, prima di tutto incoraggiando la nascita di solidi rapporti di collaborazione tra i pediatri e gli endocrinologi per una presa in carico ottimale dei piccoli pazienti. Inoltre, si stabilisce la necessità di effettuare test di controllo a quanti risultino positivi alla prima tornata di screening in modo da organizzare una presa in carico multidisciplinare con il monitoraggio del paziente che, nel corso del tempo, dovrà ricevere adeguate informazioni sulla malattia e i suoi sintomi, per esser sempre preparato ad affrontare potenziali situazioni di emergenza. E deve, infine, ricevere il supporto psicologico di cui si avverta la necessità durante tutto il suo percorso clinico.

Lo screening di massa “dipende dalla disponibilità delle famiglie ad accettarlo”, afferma Jurgen Vercauteren, alla guida del comitato consultivo dei pazienti per il programma EDENT1FI, che coinvolge circa 200 mila giovani in sette paesi europei cercando di dare risposta a interrogativi su come effettuare nel modo migliore lo screening, quando è il momento più opportuno e quanto ripetere gli esami. “Con questo progetto si affrontano due malattie che hanno un impatto sulla vita delle persone e sul sistema sanitario più importante di quanto si pensi”, afferma il presidente dell’ISS Rocco Bellantone, riferendosi al programma in avvio nel nostro Paese che mira a identificare precocemente i pazienti per prevenire le complicanze di queste due malattie autoimmuni.

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