Il tema è stato al centro dell'ultimo Congresso Internazionale di Cardionefrologia, tenutosi a Roma dal 12 al 14 marzo
La terapia nutrizionale è un aspetto cruciale del trattamento del rene policistico, eppure la maggior parte degli studi sono concentrati sull’approccio farmacologico per rallentare la progressione della malattia. Il rene policistico dell’adulto, che si indica anche con la sigla ADPKD, è una delle malattie genetiche più comuni, con un’incidenza di 1 su 1000.
La malattia renale policistica autosomica dominante (Autosomal Dominant Polycystic Kidney Disease, ADPKD), è la più comune forma di malattia renale cistica e rappresenta, nel mondo, la causa di malattia renale cronica terminale nel 7-10% dei pazienti. I pazienti sviluppano cisti in entrambi i reni che aumentano in numero e dimensioni durante la vita, fino a causare la perdita totale di funzionalità renale. Ne esistono due forme: il tipo I, causato da mutazioni del gene PKD1, che codifica per la policistina-1, è la forma più diffusa ed aggressiva e colpisce soggetti giovani; il tipo II, causato da mutazioni del gene PKD2, che codifica per la policistina-2, rappresenta il 10-15% dei casi, è ad evoluzione più lenta e ad esordio in età adulta.
Lo studio italiano da poco pubblicato su Journal of Nephrology ha analizzato l’impatto di 5 fattori nutrizionali sulla dimensione delle cisti e la progressione della patologia. “L’obiettivo primario è diminuire la dimensione delle cisti la cui crescita contribuisce alla distruzione del tessuto renale nel 50% dei pazienti sopra ai 50 anni”, sottolinea il Dottor Biagio Di Iorio, Direttore UOC di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale “A. Cardarelli” di Napoli, Moderatore della sessione dedicata alla Nutrizione Clinica nell’ambito del Congresso Internazionale di Cardionefrologia di Roma.
“La gestione dell’assunzione di acqua è un elemento fondamentale della strategia terapeutica – prosegue l'esperto – semplice e senza effetti collaterali ma non sempre accettata dai pazienti, soprattutto quelli più anziani che presentano una riduzione fisiologica del senso della sete. L’obiettivo è tentare di sopprimere la produzione di ormone antidiuretico (vasopressina) e la conseguente formazione di due enzimi che inducono la crescita delle cisti. Uno studio di Nagao ha osservato che aumentando l’apporto idrico di 3.5-8.2 volte in 10 settimane si otteneva una riduzione del 29,8%-27% del volume dei reni (in modelli animali), una diminuzione dal 54 al 28% del rapporto rene/peso del corpo e una diminuzione dell’urea (un parametro di funzionalità renale) da 38 a 26 mg/dl”.
Possiamo dire che l’idratazione può essere utile nelle prime fasi della malattia e quando siano presenti calcoli renali, eventualità in cui la cosiddetta 'terapia idropinica' è ormai consolidata, mentre per l’effetto sulla dimensione delle cisti saranno necessari ulteriori studi. Meglio allora puntare sulla riduzione del sodio: nello studio HALT-PKD la riduzione dell’apporto di sale a meno di 2.4 g/giorno ha mostrato una riduzione della crescita del volume renale. Inferiori quantità di sale hanno effetti sulla vasopressina analoghi a quelli ottenibili aumentando l’apporto idrico.
“Il fosforo è un altro elemento chiave: nonostante non ci siano evidenze che l’assunzione abbia effetti sulla progressione della malattia, sembra però influenzare la mortalità. Livelli di 3-4.6 mg/dl erano correlati ad una mortalità dell’8% contro il 34% di quelli con livelli di 4.6-5.5 mg/dl e il 58% di decessi nel gruppo con quantità tra 5.5 e 6.8 mg/dl, anche a causa dell’impatto sul sistema cardiovascolare. Una dieta troppo ricca di proteine animali favorisce la progressione verso la malattia renale cronica terminale”, afferma il Dottor Luca Di Lullo, Responsabile Scientifico del Congresso di Roma.
Altri studi stanno indagando gli effetti di una moderata restrizione calorica (tra il 10 e il 40%) sfruttandone il potere antinfiammatorio: la diminuzione del 23% dell’apporto calorico ha mostrato di diminuire la dimensione dei reni dal 41 al 151% del gruppo di controllo e la proliferazione delle cisti renali è stata del 7,7% rispetto al 15,9% di quelli che non erano stati assegnati al gruppo della restrizione.
In generale, una dieta a basso contenuto di sodio e proteine animali e ad alto contenuto di verdure, frutta e acqua, è consigliabile e fa parte di una strategia che può essere seguita senza effetti collaterali, specialmente nelle prime fasi. Nonostante non possa modificare l’evoluzione della malattia, la terapia nutrizionale consente di limitare le complicazioni e migliorare la qualità dei vita allontanando il momento di sottoporsi a trattamenti sostitutivi della funzionalità renale, come la dialisi.
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