Paralimpiadi Parigi 2024: intervista a Valentina Petrillo

La velocista italiana ha avuto per anni un duplice segreto: sentirsi donna nel corpo di un uomo e avere una disabilità. Ora sarà la prima transgender a gareggiare ai Giochi paralimpici

La realizzazione di un sogno, ma anche un senso di rivalsa dopo una vita passata a nascondersi. Essere finalmente sé stessa e poter fare quello che ha da sempre voluto: correre in una gara olimpica. Valentina Petrillo è una velocista transgender che a Parigi 2024 parteciperà alla sua prima Paralimpiade, nella categoria T12, quella degli atleti ipovedenti. Innamorata dell’atletica dall’età di 7 anni, quando vede per la prima volta Pietro Mennea vincere le Olimpiadi del 1980 nella gara nei 200 metri, ha cominciato a correre solo a 20 anni suonati, quando si è trasferita a Bologna per studiare informatica all’Istituto dei ciechi Francesco Cavazza. Perché Valentina è affetta dalla malattia di Stargardt, la forma più comune di degenerazione maculare ereditaria. “Si tratta di una patologia genetica che solitamente insorge nell’adolescenza, come è successo a me a 14 anni”, racconta ad OMaR. “La malattia si è manifestata improvvisamente, rendendomi ipovedente nel giro di pochi mesi. Mi ha precluso la visione centrale, lasciandomi una buona autonomia nella parte periferica del campo visivo. Lo sport mi ha aiutato ad essere più indipendente, nonostante le difficoltà della vita di tutti i giorni”.

Fino a un certo punto la vita di Valentina procede all’insegna di un duplice segreto: a 9 anni comincia a indossare di nascosto i vestiti della mamma. Non lo fa apertamente perché ha paura del giudizio dei suoi genitori, non vuole deluderli. Alle scuole superiori vede poco, ma ai compagni e ai professori non lo dice, sanno soltanto che ha qualche problema di vista. Si siede sempre all’ultimo banco, perché tanto la lavagna non la vede neppure dal primo. Il coming out arriva in due tappe diverse. All’Istituto Cavazza capisce che può fare una vita normale nonostante la malattia e si convince che non c’è bisogno di vergognarsi: “Incontrare persone che, pur vedendo meno di me, riuscivano a fare tante cose che io non riuscivo a fare, è stato per me di grande incoraggiamento”. Più difficile è trovare il coraggio di far nascere Valentina dalle ceneri del vecchio Fabrizio. Grazie all’Istituto Cavazza incontra anche il mondo dell’atletica paralimpica e comincia a correre nella categoria maschile, dove vince 11 titoli nazionali. Ma dovranno passare ancora 20 anni e più per trovare la forza di cominciare il percorso di transizione. “Non ho avuto esempi positivi da cui trarre ispirazione”, dice. “Non avevo mai visto una sportiva transgender. Negli anni della mia adolescenza a Napoli essere un “femminiello” era la cosa peggiore che ti potesse capitare. Non c’erano tante alternative alla prostituzione, all’epoca. Quando, anni dopo, ho scoperto che potevo essere seguita da un’équipe di medici dell’Ospedale Sant’Orsola di Bologna sono rimasta di stucco: per me transizione voleva ancora dire ormoni clandestini e operazioni per il cambio di sesso a Casablanca”.

La prima competizione di Valentina nella categoria femminile avviene in occasione dei Campionati italiani di atletica leggera paralimpica del settembre 2020. È la prima donna transgender a riuscire in questa impresa. Le Paralimpiadi di Tokyo, rinviate di un anno a causa del COVID, sono a un passo ma il tempo è poco e non riesce a qualificarsi. Nel frattempo insorgono alcune polemiche legate ai presunti vantaggi di un’atleta donna nata nel corpo di un uomo. “Studi recenti commissionati dal Comitato Olimpico Internazionale (CIO) e non ancora molto conosciuti hanno dimostrato che le persone transgender hanno addirittura uno svantaggio rispetto alle persone cisgender”, puntualizza. Le prime linee guida del CIO per includere le persone trans nelle competizioni sportive risalgono al 2015, ma poi spetta alle singole federazioni definire le regole vere e proprie. “Così, nel 2019 la World Athletics, la federazione internazionale dell’atletica leggera, fissa la soglia massima di 5 nanomoli di testosterone per litro di sangue, rettificandosi nel 2023, quando alle persone transgender viene richiesto di iniziare la terapia ormonale entro il dodicesimo anno di età, cosa che di fatto mi esclude”, aggiunge Valentina. “Io posso gareggiare perché il mondo paralimpico segue le regole del CIO, che nel decalogo del 2022 ha affermato il principio di non presunzione di vantaggio: non si può dare cioè per scontato che nascere uomo ti garantisca un vantaggio prestazionale. D’altra parte, la sollevatrice di pesi transgender Lauren Hubbard alle Olimpiadi di Tokyo non è entrata neppure in finale, nonostante tutti fossero convinti che avrebbe vinto. E io stessa all’inizio del mio percorso di transizione sono rimasta spiazzata: non solo ho perso in termini di velocità, ma ho subito contraccolpi anche in termini di metabolismo e capacità di recupero. Per fortuna, a partire dagli Europei del 2021, in Polonia, ho avuto una crescita a livello sportivo che, grazie ai due bronzi conquistati ai Mondiali di Parigi del 2023, mi ha garantito la possibilità di partecipare quest’anno alle Paralimpiadi”.

Se guarda al passato, Valentina Petrillo vede una vita di difficoltà e di sfide, molte delle quali ancora da vincere. La passione per la corsa è stata la bussola che l’ha guidata nei momenti più bui, aiutandola ad affrontare prima la sua disabilità e poi la questione dell’identità di genere. “Non è stato semplice diventare quella che sono oggi”, commenta. “E di questo devo ringraziare il mondo paralimpico, sempre all’avanguardia rispetto alle atlete e agli atleti transgender, il Comitato Italiano Paralimpico e la FISPES (Federazione Italiana Sport Paralimpici e Sperimentali), che mi hanno aiutata e supportata, rispettando sempre i regolamenti”. Così Valentina, che nella vita avrebbe voluto solo correre, è diventata un simbolo. “Disabile e transgender: sono un’atleta unica nel mio genere”, conclude. “Spero che il mio esempio possa fare da apripista ad altre atlete come me, che cercano un posto nel mondo dello sport, e che la mia presenza a Parigi favorisca quel cambiamento culturale necessario per creare una società più inclusiva nei confronti delle persone LGBT”.

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