Sindrome di Pierpont: intervista all'associazione

Laura Bertolotti, presidente dell'associazione italiana dedicata alla malattia: “Negli Stati Uniti ci hanno dato delle speranze riguardo a un farmaco che in futuro potrà essere sperimentato”

Matteo, nel 2018, è stato il primo paziente italiano a ricevere la diagnosi di sindrome di Pierpont. Due anni dopo, quando sua mamma Laura Bertolotti ha deciso di fondare un'associazione, le famiglie erano tre, contro un centinaio a livello mondiale. Nel 2022 erano già salite a cinque, mentre oggi sono dieci, e nel mondo sono arrivate a trecento.

La sindrome di Pierpont è una malattia ultra-rara e poco conosciuta, causata da mutazioni a carico del gene TBL1XR1. È caratterizzata da disabilità intellettiva, ipotonia, crisi epilettiche, dismorfismi del volto (fra cui gli occhi a mandorla), che diventano più evidenti quando il bambino sorride, e particolari cuscinetti sui polpastrelli delle mani e dei piedi. “Non c'è una cura o una terapia mirata: bisogna valutare ogni singolo aspetto del paziente per vedere se ha bisogno della terapia comportamentale, della logopedia, o se ha problemi di deambulazione. Possono essere presenti anche lordosi, scoliosi, o la malformazione di Chiari (una malattia congenita del sistema nervoso che interessa il cervelletto, il tronco encefalico e la parte posteriore della scatola cranica)”, spiega Laura Bertolotti.

Matteo ha 12 anni, frequenta la seconda media e vive a Milano con i genitori e il fratello di 18 anni. “Ancora oggi, quando la gente mi chiede che disturbo ha, spesso dico che è autistico, perché nessuno conosce questa malattia e perché i sintomi sono simili”, continua la mamma. “Nella sindrome di Pierpont, però, in ogni bambino si manifesta una forma di malattia diversa: c'è chi è sulla sedia a rotelle e chi invece corre, chi ha problemi respiratori, chi li ha alla vista, chi non parla... per questo è ancora più difficile da diagnosticare”.

Fino al momento della diagnosi, quando Matteo aveva 6 anni, i genitori l'avevano sempre trattato con le terapie per l'autismo, con scarsi risultati. Quando è nato era abbastanza piccolo, e nei primi anni di vita ha avuto delle convulsioni ed è diventato gravemente ipotonico. Così i medici hanno pensato che si trattasse di una malattia genetica, sospetto poi confermato dal sequenziamento dell'esoma eseguito presso l’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo: era il primo caso in Italia di sindrome di Pierpont. “Fino all'età di cinque anni non parlava, indicava e basta”, racconta Laura. “Tuttora non sa leggere e scrivere, però parla e ha imparato a comunicare con le immagini visive. Grazie alla logopedia, alla fisioterapia e alla terapia in acqua abbiamo notato dei miglioramenti. Questi bambini, inoltre, sono estremamente iperattivi, quindi devono prendere dei farmaci per contrastare sia questo aspetto sia le convulsioni, che si verificano in particolare nei primi anni di età”.

La vita di Laura è cambiata: la malattia del figlio, sommata ai suoi problemi di salute, l'hanno convinta a lasciare il lavoro per dedicarsi a tempo pieno a Matteo, con enormi sacrifici sotto tutti i punti di vista. Ha influito anche il fattore economico: “Tutto quello che guadagnavo lo spendevo in baby sitter e in terapie, spesso private”. Poi la decisione di creare un'associazione: “Siamo partiti che eravamo tre famiglie, ora siamo dieci (il paziente più grande ha 28 anni). Per riuscirci abbiamo utilizzato la piattaforma RareConnect e un gruppo Facebook privato dove ci scambiamo informazioni e consigli, ma è stata fondamentale la visibilità ottenuta in seguito ai due articoli pubblicati su OMaR. Importantissimo è stato anche il sostegno della nostra genetista, la dr.ssa Donatella Milani del Policlinico di Milano, e del suo staff di ricerca e sviluppo, che studiano e ci aiutano ogni giorno a capire di più questa rara condizione di vita dei nostri figli. Abbiamo incontrato medici molto competenti, che sotto il camice hanno un grande cuore; ci danno delle speranze per il futuro e sono sempre pronti ad aiutare le nostre famiglie”.

Nel 2022, inoltre, una fisioterapista che fa parte dell'associazione, la dr.ssa Veronica Trovò, dovendo presentare la sua tesi per il Master Universitario di primo livello in Neuroriabilitazione e Neuroscienze dell'età evolutiva, ha scelto di incentrarla sull’importanza del trattamento neuropsicomotorio precoce nella sindrome di Pierpont, con la presentazione di un caso clinico da lei seguito a Roma – la piccola Francesca, che sta facendo passi da gigante – e ha conseguito il titolo con 110 e lode.

“All'estero sono state create delle nuove associazioni, in Francia (Association Syndrome de Pierpont de Dorine a Vitré) e in Spagna (Association Syndrome de Pierpont España), mentre negli Stati Uniti c'è da tempo un’organizzazione, la Fly Little Bird Foundation, la cui missione è quella di sostenere la ricerca per identificare e sviluppare trattamenti efficaci per le patologie associate alla mutazione del gene TBL1XR1 come la sindrome di Pierpont”, prosegue la presidente. “Nel maggio scorso noi e un'altra famiglia italiana siamo andati a Boston per partecipare a un incontro organizzato da loro: dei ricercatori di Harvard ci hanno spiegato che studiare la malattia è difficilissimo, però ci hanno dato delle speranze riguardo a un farmaco che in futuro potrà essere sperimentato”.

A capo della ricerca c'è Florian Eichler, professore associato di neurologia alla Harvard Medical School e direttore della clinica per la leucodistrofia presso il Massachusetts General Hospital, e anche Matteo e Francesca in quell'occasione hanno fatto degli esami per capire se sono idonei a parteciparvi. “Nel caso arrivasse questo farmaco, siamo pronti a tornare a Boston per sottoporci alla terapia: certamente sappiamo molto bene che non si guarisce, ma cercare di migliorare il più possibile la qualità di vita dei nostri figli è una speranza che teniamo stretta a noi finché non si avvererà. Non molliamo mai: si cade e ci si rialza sempre tutti insieme”.

La Giornata Mondiale della sindrome di Pierpont cade ogni anno il 16 settembre, lo stesso giorno in cui, nel lontano 1996, la genetista statunitense Mary Ella Pierpont, scomparsa nel 2020, scoprì e classificò la malattia. “Ho avuto la possibilità di parlare con lei”, ricorda Laura. “Mi ha sempre detto che dovevamo credere nella ricerca, e penso che chiunque abbia un figlio con una malattia rara debba essere convinto di questo”.

Il nuovo sito dell'Associazione Sindrome di Pierpont sarà attivo a breve. Per ulteriori informazioni è possibile visitare la pagina Facebook della Onlus o scrivere una e-mail agli indirizzi Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. e Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

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