Tumori delle vie biliari: i dati del farmaco durvalumab

Il farmaco durvalumab, in abbinamento alla chemioterapia, ha dimostrato di aumentare la sopravvivenza globale dei pazienti rispetto al placebo

Un paio d’anni fa sulla rivista The New England Journal of Medicine Evidence sono usciti i dati di un’analisi ad interim relativamente all’aggiunta di durvalumab - un inibitore della proteina ligando 1 della morte cellulare programmata (PD-L1) - alla chemioterapia standard (a base di gemcitabina e cisplatino) nel trattamento dei pazienti affetti da tumore delle vie biliari. Il presupposto di partenza era che questo tipo di tumore possiede caratteristiche immunogeniche tali da indurre i ricercatori a valutare su di esso l’effetto dei farmaci inibitori dei checkpoint immunitari. I risultati sono andati oltre le aspettative, con tassi di sopravvivenza libera da progressione e di risposta globale largamente superiori rispetto a quelli del gruppo di controllo. Sulla base di ciò sia la FDA che l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) hanno poi approvato la combinazione di durvalumab e chemioterapia per il trattamento in prima linea dei tumori del tratto biliare in fase avanzata.

A due anni di distanza, sulla rivista The Lancet Gastroenterology & Hepatology sono stati pubblicati i dati aggiornati dello studio di Fase III TOPAZ-1, un trial randomizzato, in doppio cieco, che ha coinvolto 105 tra ospedali e centri di riferimento in 17 Paesi del mondo. I criteri di inclusione del trial comprendevano individui affetti da adenocarcinoma del tratto biliare localmente avanzato o metastatico (ciò significa colangiocarcinoma intra- ed extra-epatico e carcinoma della cistifellea); in particolare sono stati ammessi quanti avevano un tumore non asportabile chirurgicamente, o in metastasi alla diagnosi iniziale, oppure che aveva prodotto recidiva dopo oltre sei mesi dall’intervento chirurgico o dalla conclusione del ciclo di terapia adiuvante.

I TUMORI DELLE VIE BILIARI E L’IMMUNOTERAPIA

Secondo i dati raccolti nell’ultimo rapporto AIRTUM, in Italia la stima delle diagnosi di carcinoma della colecisti e del tratto biliare ammonta a circa 5400 all’anno, con il colangiocarcinoma che, nel gruppo, gioca un ruolo di primo piano: negli scorsi anni le diagnosi di questo raro tumore sono cresciute e, di fronte all’assenza di test di laboratorio o esami diagnostici per individuare in anticipo la malattia, una consistente fetta della ricerca si è rivolta all’oncologia di precisione, con la possibilità di identificare validi bersagli terapeutici per contrastare la progressione del tumore.

Tra i più recenti farmaci giunti in approvazione c’è ivosidenib, che prende di mira la mutazione in IDH1, condivisa anche dalla leucemia mieloide acuta e da alcuni tipi di glioma. Un editoriale da poco pubblicato su The New England Journal of Medicine Evidence elenca i successi dell’immunoterapia nei tumori del colon-retto, sottolineando come i farmaci inibitori dei checkpoint immunitari producano risultati migliori in combinazione con altre molecole e in certi sottogruppi di pazienti. Insieme agli anticorpi farmaco-coniugati e alle terapie a base di cellule CAR-T, i farmaci inibitori dei checkpoint immunitari formano un tris d’assi di valore sul tavolo dell’oncologia moderna - aspetto emerso anche durante i lavori dell’ultimo convegno dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) di Chicago. E ciò vale in modo particolare per tumori come quelli del tratto biliare, che presentano elevati tassi di recidiva e contro cui la radioterapia e la chemioterapia riportano modesti tassi di successo.

I RISULTATI DI DURVALUMAB NELLO STUDIO TOPAZ-1

Nello studio TOPAZ-1 sono state arruolate 914 persone - 685 delle quali sono state randomizzate e inserite nel braccio di trattamento con durvalumab più gemcitabina e cisplatino (N=341) e in quello del placebo più gemcitabina e cisplatino (N=344). I numeri riportati hanno messo in evidenza un tasso di sopravvivenza globale stimato del 23,6% nel braccio di trattamento con durvalumab più chemioterapia rispetto all’11,5% del gruppo di controllo (placebo più chemioterapia). In un comunicato stampa di alcune settimane fa Astra-Zeneca (che produce durvalumab) ha riportato i dati di sopravvivenza globale a tre anni, poi presentati a un meeting della Cholangiocarcinoma Foundation a Salt Lake City (Utah): a più di tre anni (follow-up mediano di 41,3 mesi), durvalumab ha ridotto il rischio di decesso del 26% rispetto alla sola chemioterapia (il 14,6% dei pazienti trattati con durvalumab più gemcitabina e cisplatino era ancora in vita rispetto al 6,9% di quelli del gruppo di controllo). Tali numeri hanno suscitato grande entusiasmo all’interno della comunità medica dal momento che la sopravvivenza a 5 anni per i tumori metastatici delle vie biliari non raggiunge il 5%.

“Sono risultati che rafforzano il beneficio a lungo termine della combinazione di immunoterapia e chemioterapia come standard di cura per i pazienti affetti da questa devastante neoplasia”, afferma il principal investigator di TOPAZ-1, il prof. Do-Youn Oh, del Dipartimento di Medicina Interna presso il Seoul National University Hospital. Oltre ai livelli di efficacia del farmaco, in TOPAZ-1 è stata valutata anche la sicurezza della combinazione durvalumab + gemcitabina e cisplatino: gli eventi avversi di grado 3 e 4 registrati hanno riguardato in maniera paragonabile i pazienti del braccio di studio (74%) e di controllo (75%), senza che siano emerse differenze evidenti.

APPROVAZIONI EUROPEE E NAZIONALI

La combinazione di durvalumab e chemioterapia ha dunque portato concreti benefici sotto il profilo della sopravvivenza, riducendo il rischio di progressione e migliorando la risposta al trattamento. Sulla base dei risultati dello studio TOPAZ-1 è giunta l’approvazione della Commissione Europea per la combinazione di durvalumab e chemioterapia nel trattamento dei tumori delle vie biliari avanzati e, più di recente, anche l’AIFA ha ammesso alla rimborsabilità il farmaco di Astra-Zeneca per il trattamento di prima linea dei tumori delle vie biliari e anche dell’epatocarcinoma - in questo caso sono stati i risultati dello studio di Fase III HIMALAYA, pubblicati sulla rivista Annals of Oncology, a mostrare il beneficio clinico del trattamento con durvalumab + tremelimumab nella riduzione del rischio di morte. Finalmente sembra esser stata imboccata la giusta direzione nell’utilizzo dell’immunoterapia contro i tumori delle vie biliari: perché se la risposta migliore è nei numeri si può solo essere ottimisti.

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