La prof.ssa Elisei (Pisa): “Gli inibitori della tirosin-chinasi, efficaci nei casi di tumori refrattari allo iodio radioattivo, determinano un blocco nella progressione del carcinoma, che diventa così una patologia cronica”
PISA – Il cancro della tiroide è raro, ma è il tumore maligno endocrino più frequente. Colpisce generalmente fra i 40 e i 50 anni, in modo prevalente le donne (nella forma papillare e follicolare): la sua incidenza è di 10-12 nuovi casi su 100mila persone l'anno. Tale incidenza è andata aumentando negli ultimi anni, verosimilmente a causa delle migliori tecniche diagnostiche. La prognosi è generalmente favorevole, soprattutto nei casi di tumori differenziati della tiroide, come ad esempio i papillari e i follicolari, che hanno tassi di sopravvivenza di circa il 95% a 40 anni.
La prof.ssa Rossella Elisei, del Dipartimento di Endocrinologia dell'Università di Pisa, in una recente revisione pubblicata sulla rivista Endocrine-related cancer ha presentato lo stato attuale del trattamento con l'utilizzo delle più innovative terapie mirate, descrivendone sia i benefici che i limiti, sulla base delle esperienze finora riportate.
“A seconda dell'origine, i tumori della tiroide si distinguono in due tipi: quelli ad origine dalle cellule follicolari, in cui si distinguono l'istotipo papillare e quello follicolare, e quelli ad origine dalle cellule parafollicolari, con il solo istotipo midollare. Il primo gruppo è il più comune, e in particolare l'istotipo papillare rappresenta circa l'80% di tutti i carcinomi tiroidei. L'istotipo midollare è molto raro in quanto rappresenta solo il 5% di tutti i tumori tiroidei, che a loro volta costituiscono il 4-5% di tutti i tumori umani”, spiega la prof.ssa Elisei. “Sono fortunatamente tumori a lenta progressione, ma è importante diagnosticarli il prima possibile”.
Il loro trattamento prevede la chirurgia e l'utilizzo dello iodio radioattivo. Tuttavia, il 15-20% dei casi diventa refrattario a questa terapia, e fino ad ora nessun altro trattamento si è rivelato efficace. Gli stessi problemi si riscontrano nei casi di tumori della tiroide scarsamente differenziati e anaplastici, e in almeno il 30% dei casi di carcinoma midollare della tiroide, che è molto aggressivo e non sensibile al radioiodio. Gli inibitori dei recettori tirosino-chinasici rappresentano un nuovo approccio per il trattamento dei casi avanzati e iodioresistenti di tumori differenziati, midollari, scarsamente differenziati e, possibilmente, anaplastici.
“Oggi sono disponibili diverse terapie mirate, a bersaglio molecolare, che colpiscono o disattivano i meccanismi alterati che hanno portato alla formazione del tumore: determinano un blocco nella progressione del tumore, che diventa cronico”, continua la professoressa. Dei quattro inibitori tirosino-chinasici approvati per l'uso nella pratica clinica e in commercio in Italia (sorafenib e lenvatinib per i tumori differenziati e scarsamente differenziati; vandetanib e cabozantinib per i midollari), solo due sono rimborsabili dal Servizio Sanitario Nazionale: l'uso di sorafenib e cabozantinib è infatti a carico del paziente o dell'azienda sanitaria.
I loro effetti collaterali sono generalmente tollerabili e gestibili con altri farmaci che ne contrastano gli eventi avversi. “Hanno superato dieci anni di sperimentazione, andando a sostituire i farmaci precedenti, i chemioterapici tradizionali”, sottolinea la prof.ssa Elisei. “Il panorama, insomma, è molto positivo, perché siamo in grado di bloccare la crescita tumorale, anche se ancora non abbiamo un farmaco che curi definitivamente la malattia, e per questo la ricerca deve continuare”.