Per garantire il trattamento serve un grande lavoro di squadra, che coinvolge donatori di plasma, medici, istituzioni e industria farmaceutica
Nicolò in questi giorni è a casa sua, a Lecce, con la mamma Federica. Dovrebbe essere una cosa normale per un bimbo di appena 2 anni e mezzo, ma per lui le cose sono state complicate fin da prima di nascere. Già durante la gestazione, infatti, nel feto viene rilevata una malformazione di Dandy-Walker con grave idrocefalo, da cui la necessità di far nascere il bambino al Policlinico Gemelli di Roma e sottoporlo subito ad un primo intervento neurochirurgico. Ma nel giro di poco tempo è stato chiaro che le cose erano ancora più complesse: gli interventi non davano i risultati sperati e i medici non sapevano spiegarsi il motivo. La svolta è arrivata quando, grazie ad una serie di ‘sintomi sentinella’, i medici hanno formulato e poi confermato la diagnosi di una rarissima malattia: il deficit congenito del plasminogeno.
Quello di Nicolò è l’unico caso in Italia, e nel mondo ce ne sono solo poche centinaia. La sua è anche la forma più grave della malattia, che ha messo a dura prova tutti i clinici coinvolti, ma alla fine, grazie in primo luogo alla tenacia di mamma Federica, che non si è mai data per vinta, oggi Nicolò non è più ricoverato, è a casa e va periodicamente in ospedale per ricevere il farmaco che ha cambiato la sua situazione e che la mamma non esita a definire “miracoloso” (clicca qui o sull’immagine dell’articolo per guardare la video-intervista).
Forse “miracoloso” non è un termine adatto alla scienza, ma in effetti questo farmaco, a base di plasminogeno derivato da plasma umano, un po’ speciale lo è davvero, perché nasce dalla generosità: per produrne una fiala servono infatti tantissimi donatori di plasma. Senza di loro non potrebbe curarsi non solo Nicolò, ma nemmeno le tante altre persone che oggi hanno bisogno di plasmaderivati. Quella di Nicolò, in questo senso, è una storia che fa capire in maniera immediata coma donare sangue e plasma sia davvero un gesto salvavita. Per questo la vicenda è stata scelta come filo conduttore del convegno “Il ruolo del plasma per le malattie rare”, organizzato lo scorso 27 novembre dall’On. Luciano Ciocchetti, Vicepresidente della Commissione Affari sociali della Camera, un evento che ha visto a confronto le istituzioni, l’industria e la comunità medico-scientifica sulle priorità da affrontare per migliorare la governance farmaceutica nell’ambito delle malattie rare e le prospettive terapeutiche dei pazienti. L’incontro è stato moderato dalla direttrice dell’Osservatorio Malattie Rare (OMaR), Ilaria Ciancaleoni Bartoli.
Riuscire a garantire a Nicolò la terapia di cui aveva assolutamente bisogno non è stato facile, ci sono stati degli ostacoli importanti da superare, e qui a ‘vincere’ è stata la bravura e la capacità di fare squadra dimostrata dai clinici, dalle istituzioni e dall’azienda farmaceutica Kedrion. Vediamo tutte le sfide che sono state vinte per arrivare a questo risultato.
Alla nascita Nicolò viene operato dal prof. Gianpiero Tamburrini, neurochirurgo del Policlinico Gemelli di Roma, e dal suo team: l’intervento sembra nella norma ma i risultati sull’idrocefalo non sono quelli sperati. I medici faticano a trovare una risposta e, nel frattempo, nell’arco di soli due anni e mezzo di vita, Nicolò affronta ben 26 operazioni chirurgiche.
Ad un certo punto gli oculisti notano nel bambino una strana congiuntivite, la cosiddetta “congiuntivite lignea”, e lì arriva il primo sospetto: potrebbe esserci un deficit congenito del plasminogeno, una malattia rarissima, e occorre procedere con il relativo test diagnostico. Il campione viene inviato all’Azienda Ospedale Università di Padova e il compito di analizzarlo spetta alla dott.ssa Maria Teresa Sartori: è lei a confermare la presenza della malattia, talmente rara che quello di Nicolò è il secondo caso che la specialista vede in tutta la sua carriera.
Da lì il ‘duo Tamburrini-Sartori’ non lascia più solo il piccolo e lo segue in ogni fase, fino ad arrivare all’ultimo grande problema da affrontare: ad un certo punto il farmaco che sta dando così tanti risultati in Nicolò non è più disponibile, a causa di un problema nello stabilimento che lo produce negli USA. La terapia manca per tutti, ma per Nicolò è un salvavita: bisogna trovare una soluzione, e qui entra in campo l’azienda produttrice del medicinale, Kedrion, che non solo riesce a garantire la terapia al bimbo, ma fa un passo in più e avvia le procedure per poter produrre il farmaco in Italia. E ci riesce. Ad annunciarlo è stato il CEO di Kedrion proprio nel corso dell’incontro: in soli 14 mesi, l’azienda è riuscita ad avere l’autorizzazione della FDA statunitense a produrre il farmaco, per tutto il mondo, nello stabilimento italiano di Bolognana, in provincia di Lucca, un passo che dimostra l’impegno della società non solo per i pazienti, ma anche per la crescita del Paese.
“Per un’azienda come Kedrion, specializzata nella produzione di farmaci plasmaderivati, l’ottimizzazione della risorsa plasma è sempre più cruciale per identificare nuove potenziali opportunità terapeutiche, in particolare per le malattie orfane, come dimostra anche il nostro impegno per il trattamento del deficit congenito di plasminogeno, tra le patologie al centro dell’incontro di oggi”, ha spiegato il CEO di Kedrion, Ugo Di Francesco. “Come parte integrante della filiera del farmaco, lavoriamo senza sosta per fornire soluzioni sempre più efficaci e personalizzate a un numero crescente di pazienti in tutto il mondo. In Italia l’impegno delle istituzioni è significativo, ma si può sempre fare di più. E per riuscirci occorre fare rete: l’incontro di oggi ci fa essere fiduciosi e ottimisti sulla possibilità di rafforzare il confronto e il dialogo costruttivo con le associazioni di pazienti e di donatori, la comunità medico-scientifica e i decisori politici per migliorare la governance farmaceutica”.
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