Potersi rivolgere a un centro specializzato in questa complessa patologia ha inciso positivamente sui tempi di rilevazione del problema e sul trattamento
Renato conduce una vita tranquilla nel cuore di Tropea, una cittadina nata sulla sommità di una rocca rivolta verso il mare azzurro e per quasi tutto l’anno immersa in un clima caldo; fa l’avvocato a Reggio Calabria e tra i suoi clienti c’è un medico a cui, alcuni anni fa, raccontò di sentirsi spesso stanco; perciò, su suo consiglio, si sottopose ad un check-up generale. Ha così avuto inizio una trafila di esami e accertamenti al termine della quale Renato scoprì di esser affetto da una sindrome ipereosinofila, un disturbo molto eterogeneo nella presentazione clinica ma caratterizzato da un rialzo del numero degli eosinofili - un particolare tipo di globuli bianchi - nel sangue.
“Da giorni mi sentivo affaticato ma ritenevo fosse una conseguenza del lavoro e dello stress, perciò decisi di chiedere un parere al medico che, saltuariamente, veniva nel mio studio e con cui ero entrato più in confidenza, tanto che in più di un’occasione gli sottoposi in visione i risultati degli esami”, ricorda Renato che, tra gli altri, eseguì un emocromo da cui emerse chiaramente un’alterazione nel numero degli eosinofili. “Il limite di normalità è al di sotto di 500 cellule per millimetro cubo ma, nel mio caso, quel valore era circa tre volte più alto”. Tuttavia, il medico non si mostrò troppo preoccupato e, dopo un confronto con un collega allergologo, suggerì a Renato di iniziare una cura a base di cortisone.
Era il 2020, il mondo viveva l’emergenza del COVID-19 e, come chiunque altro, Renato dovette fare i conti con le limitazioni imposte per arginare il diffondersi della pandemia, tuttavia per circa un anno continuò ad assumere i medicinali prescrittigli senza osservare alcun beneficio. “Il valore degli eosinofili non accennava ad abbassarsi e, a quel punto, il medico raccomandò una visita specialistica da un ematologo”, continua Renato. “Perciò presi contatto con la segreteria del reparto di Ematologia dell’Ospedale di Reggio Calabria e mi fu dato appuntamento con uno dei medici in servizio”.
Nell’arco di alcuni giorni Renato si trovò a dover eseguire una lunga lista di esami di accertamento che, al di là dell’emocromo, comprendeva altri esami emato-chimici (sia per la valutazione della funzionalità renale ed epatica che per l’individuazione di possibili infiammazioni), test per la verifica di eventuali parassitosi, esami colturali sulle urine e test allergologici. Tutti diedero esito negativo: sembrava che non si riuscisse a definire un percorso diagnostico e, di conseguenza, a trovare una terapia. “Continuavo ad avvertire una stanchezza costante ed ero preoccupato da quel valore stabilmente elevato degli eosinofili”, afferma Renato. “Ma a parte questo non avevo altri sintomi e la mia vita proseguiva normalmente”.
L’ipereosinofilia è una condizione alquanto comune e può esser innescata da varie cause - può essere conseguenza di malattie parassitarie, fungine o allergiche - ma se il rialzo degli eosinofili è associato a infiltrazione e danno dei tessuti, si parla di sindrome ipereosinofila. “Bisogna sottoporre i pazienti a una serie di esami per distinguere le ipereosinofilie provocate da condizioni infettive e parassitarie da quelle primitive ematologiche, legate a specifiche mutazioni”, puntualizza la dottoressa Alessandra Iurlo, della S.C. di Ematologia presso la Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano. Di fatto, Renato è stato sottoposto a numerosi esami (una buona parte dei quali a pagamento) e ha potuto completare il suo percorso diagnostico solo dopo esser giunto a Milano.
“A un anno di distanza dall’esame che aveva messo in risalto l’alterazione nel numero di eosinofili ho accompagnato mia figlia a Milano, dove si stava trasferendo per iniziare l’università”, prosegue l’avvocato calabrese. “Così, d’accordo col medico che mi aveva preso in carico a Reggio Calabria, ho deciso di proseguire il cammino diagnostico al Policlinico di Milano, dove sono stato indirizzato alle cure della dottoressa Iurlo”. La scelta di completare le analisi nel capoluogo lombardo era dettata da aspetti logistici e dall’opportunità di essere preso in carico in uno dei centri di riferimento nazionali per la patologia. “Tutte le prove eseguite avevano dato esito inconcludente ma a Milano ho ripetuto la biopsia del midollo osseo e sono stato sottoposto ad esami molecolari”, chiarisce Renato, leggendo il referto in cui è stata evidenziata la presenza di un riarrangiamento del gene PDGFRA, che codifica per una proteina coinvolta in una via di segnalazione essenziale per la proliferazione delle cellule. Finalmente la luce in fondo al tunnel.
Le analisi molecolari non misero in evidenza ulteriori mutazioni - né per il gene di fusione BCR-ABL, né per i geni JAK2, PDGFRB o FGFR1 - ma quel risultato era già di per sé sufficiente a classificare la sua sindrome ipereosinofila come neoplasia mieloide con eosinofilia e riarrangiamento di PDGFRA, una patologia ben definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. “Mi è subito stato sospeso il cortisone e prescritta una terapia specifica a base di imatinib mesilato che, nel giro di alcune settimane, ha prodotto benefici”.
Nelle settimane successive Renato è stato sottoposto a una visita cardiologica, con esecuzione di elettrocardiogramma ed ecodoppler per appurare se la malattia avesse provocato danni a livello cardiovascolare, e successivamente anche a un’ecografia dell’addome. Tutto è risultato, fortunatamente, nella norma. “Dopo un po’ di tempo ho eseguito una rivalutazione midollare e ho continuato a esser monitorato prima con cadenza mensile e poi trimestrale”, conclude. “Assumo tuttora la terapia che mi è stata prescritta e sto bene, svolgo il mio lavoro senza impedimenti e conduco un’esistenza per quanto possibile serena. In tutto ciò sono grato ai medici che mi hanno seguito ma ritengo che essermi rivolto a un centro specializzato nel trattamento di malattie rare come questa abbia avuto un peso enorme nel percorso di diagnosi e cura”. Un messaggio che non si ferma ai confini della sindrome ipereosinofila ma si estende a tutte le malattie rare e complesse per le quali serve stabilire un collegamento tra la medicina sul territorio e gli specialisti nei centri di riferimento; altrimenti - per usare le parole di Renato - i malati continueranno a sentirsi automobili lanciate su un’autostrada senza alcuna chiara indicazione dell’uscita da prendere. Servono un ‘mappa’ diagnostica chiara e solidi punti di riferimento per giungere alla meta della cura.