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Amiloidosi ATTR ereditaria - vutrisiran

La dr.ssa Francesca Lupidi (Ancona) racconta il caso clinico di un paziente, il primo in Italia a ricevere la nuova terapia

Il nuovo farmaco vutrisiran, approvato anche in Italia da poco più di un anno per il trattamento dell'amiloidosi ereditaria da transtiretina (ATTRv)non solo è efficace nello stabilizzare o persino nel far regredire i sintomi della malattia, ma migliora anche la compliance, ovvero l'aderenza dei pazienti alle terapie prescritte. Lo dimostra il caso clinico raccontato dalla dr.ssa Francesca Lupidi, specialista presso la Clinica Neurologica dell'Azienda Ospedaliera Universitaria di Ancona.

Al paziente, un uomo di 60 anni che lavora come cuoco, è stata diagnosticata la malattia in quanto figlio di una paziente nota, una donna di circa 80 anni affetta da amiloidosi da mutazione del gene della transtiretina con interessamento cardiaco e neurologico, da tempo in terapia con patisiran.

Il figlio manifestava quello che per anni era stato interpretato come un tunnel carpale bilaterale: un lato era stato operato tre anni prima della diagnosi di ATTRv, ma l'intervento non sembrava aver portato beneficio”, spiega la neurologa. “Nell'ambito dello screening familiare abbiamo effettuato il tampone e il paziente è risultato portatore della stessa mutazione materna p.Ile88Leu, la più frequente nell'Appennino tosco-emiliano”.

Il paziente è stato quindi sottoposto a terapia con patisiran che, dopo sette mesi è stato sostituito, nel novembre 2023, con vutrisiran. Essendo il primo paziente italiano a ricevere il nuovo farmaco, il suo follow up superiore a un anno è il più lungo registrato fino ad oggi nel nostro Paese.

Ad oggi il paziente è stato sottoposto a quattro somministrazioni – prosegue la dr.ssa Lupidi – e la sua situazione clinica è migliorata: anche da un punto di vista cardiologico la malattia sembra aver conosciuto un periodo di equilibrio. Continua a svolgere il suo lavoro e le sue attività, con una buona qualità di vita. Il paziente ha una sorella portatrice della stessa mutazione, ma del tutto asintomatica: non ha nessun tipo di disturbo e nessun riscontro strumentale di polineuropatia o tunnel carpale; continuiamo a monitorare clinicamente anche lei”.

L'uomo, nell'arco di due anni, è stato quindi in trattamento con due farmaci molto simili, ma estremamente diversi sotto il profilo del modo e dei tempi di somministrazione: ogni quindici giorni e per via endovenosa il patisiran, ogni tre mesi e per via sottocutanea il vutrisiran. Fattori che hanno influito molto sulla sua aderenza alle terapie. “Da un punto di vista di efficacia e di mantenimento della stabilità della malattia, il vutrisiran è parente strettissimo del patisiran: sotto l'aspetto clinico e strumentale sono effettivamente due terapie sovrapponibili. Abbiamo notato invece una grandissima differenza nella compliance: il paziente in questione è stato molto difficile da seguire, perché non era aderente alle terapie cardiologiche e non era stato molto puntuale nel rispettare gli appuntamenti per i vari controlli. Il patisiran ha una somministrazione più frequente, con premedicazione e ricovero in day hospital, e ciò significa una giornata lavorativa persa. Il vutrisiran viene somministrato ogni tre mesi (periodo a cui corrisponde il controllo neurologico), per via sottocutanea anziché endovenosa (permettendone quindi la somministrazione durante la visita neurologica), e non necessita di premedicazione. Il fatto di essere passati ad un farmaco così maneggevole, che ha una somministrazione molto più facile e anche meno dolorosa e impegnativa, ci ha garantito una miglior compliance”, sottolinea la neurologa.

Ad oggi, quindi, nei pazienti di nuova diagnosi non ci sono dubbi se iniziare il patisiran o il vutrisiran: si opta subito per quest'ultimo farmaco. Nel caso clinico raccontato dalla dr.ssa Lupidi, invece, la decisione dello switch è stata discussa sia con il paziente che all'interno del team multidisciplinare. Questo team, nell'Azienda Ospedaliera Universitaria di Ancona e più in generale nelle Marche, è composto in particolare da cardiologi e neurologi: in base alle necessità, qualora la malattia sistemica abbia coinvolto altri organi, è possibile avvalersi di oculisti, gastroenterologi o nefrologi. “Per noi è stato fondamentale avere a disposizione questa nuova opzione terapeutica”, conclude la specialista. “La terapia ci ha permesso di vedere il paziente più regolarmente, e soprattutto di vederlo più sereno e anche più felice”.

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