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Dopo aver tentato un intervento chirurgico e vari trattamenti non risolutivi, Maurizio ha avuto accesso alla terapia radiorecettoriale nell’ambito di un protocollo sperimentale

Nel caso di neoplasie rare come i tumori neuroendocrini (NET), tracciare chiari percorsi di diagnosi e trattamento serve non solo a migliorare la presa in carico dei pazienti, ma anche a trovare alternative terapeutiche nel momento in cui le opzioni ufficialmente autorizzate non siano in grado di sortire benefici. È il caso di Maurizio che, nel 2015, ha ricevuto una diagnosi di tumore neuroendocrino al polmone e che, al termine di lungo e sofferto percorso, costellato di interventi chirurgici e trattamenti molto aggressivi, ha potuto aver accesso alla terapia radiorecettoriale, al momento approvata per il trattamento dei NET dello stomaco, dell’intestino e del pancreas metastatici o non operabili.

Tutto è cominciato con un colpo di tosse”, ricorda Sandra, la moglie di Maurizio. “Sul fazzoletto Maurizio ha notato delle goccioline di sangue [in gergo medico questo sintomo si chiama emottisi, N.d.R.] e, impensierito dalla cosa, si è rivolto al medico di famiglia che ha suggerito di fare degli approfondimenti”. I primi esami effettuati hanno suggerito di indagare ancora più a fondo e Maurizio è stato sottoposto a una radiografia e poi a una broncoscopia, per capire meglio la natura del tumore: l’analisi istologica ha rivelato che si trattava di un tumore neuroendocrino del polmone. “È stata confermata la necessità di un intervento chirurgico che, inizialmente, speravamo fosse possibile effettuare con una tecnica mini-invasiva”, aggiunge Sandra. “Purtroppo, l’area interessata si rivelò troppo estesa, rendendo di fatto impossibile questo approccio; Maurizio è stato dunque sottoposto all’asportazione di oltre metà del polmone sinistro”.

I controlli effettuati nei mesi successivi sembravano far pensare che la situazione fosse sotto controllo, addirittura escludendo il ricorso alla chemioterapia adiuvante, che in molti casi si fa per abbassare le probabilità di recidiva del tumore; la chirurgia pareva aver risolto il problema e per circa due anni Maurizio ha continuato a sottoporsi ai controlli di routine, fino a quando non si è visto che il tumore aveva prodotto delle metastasi a livello delle ossa e del fegato.

“Dopo una serie di visite oncologiche – prosegue Sandra – siamo stati indirizzati all’Ospedale San Camillo-Forlanini di Roma, dove Maurizio è stato visitato dal dott. Roberto Baldelli che, insieme al suo staff, lo ha preso in cura e lo ha sottoposto a una terapia con analoghi della somatostatina, previa esecuzione di una PET Ga68 che confermava la presenza di recettori per la somatostatina”. Infatti, sulla superficie delle cellule della gran parte dei tumori neuroendocrini sono presenti recettori di membrana specifici per la somatostatina contro cui, negli anni, sono stati sviluppati farmaci specifici (octreotide o lanreotide), presto divenuti un cardine del trattamento dei NET. “Sfortunatamente, nel caso di Maurizio, questa terapia non ha prodotto buoni effetti”, aggiunge Sandra. “Così, è stato sottoposto a diversi cicli di chemioterapia che sembravano sortire effetto sulle metastasi ossee ma non su quelle al fegato”. Sono state provate diverse combinazioni di farmaci, che Maurizio tollerava con difficoltà e che produssero benefici solo parziali.

A questo punto il dott. Baldelli ci parlò di un collega medico nucleare di Reggio-Emilia che stava completando una sperimentazione clinica sulla terapia radiorecettoriale e siamo andati a trovarlo per capire meglio in cosa consistesse”, spiega Sandra, riferendosi a un radiofarmaco da alcuni anni approvato per il trattamento dei NET pancreatici e gastrointestinali, ben differenziati, progressivi, non asportabili chirurgicamente o metastatici e positivi ai recettori per la somatostatina. “Dai risultati delle analisi cliniche si è visto che Maurizio aveva alcune caratteristiche tali per cui avrebbe potuto accedere al trattamento, ma il problema era che il suo tumore era al polmone”. Quello condotto a Reggio-Emilia, infatti, era uno studio clinico destinato ai pazienti con tumori gastrointestinali e Maurizio, con le metastasi al fegato e alle ossa, non poteva di fatto rientrarvi.

“Perciò siamo tornati dal dott. Baldelli e abbiamo cercato un’altra struttura dove fosse in corso una sperimentazione a cui mio marito potesse accedere”, prosegue Sandra. “Alla fine siamo giunti al reparto di Medicina Nucleare dell’Ospedale di Cona. Qui Maurizio è stato visitato dal dott. Mirco Bartolomei che, dopo le analisi di rito, lo ha inserito in una sperimentazione nella quale la terapia radiorecettoriale è offerta ‘off-label’ a pazienti che hanno patologie diverse da quelle per cui essa è attualmente autorizzata”.

Maurizio ha già eseguito il primo ciclo di trattamento”, conclude Sandra. “Ogni volta deve rientrare in ospedale e rimanere ricoverato per alcuni giorni; durante la seduta gli viene iniettato il farmaco e viene sottoposto a controlli scrupolosi per capire in tempo reale a che a livello agisca il medicinale. Deve rimanere in isolamento per circa tre giorni perché radioattivo, e poi deve rifare la PET e la TAC per osservare la risposta del tumore”. Di volta in volta i medici valutano gli effetti della terapia e fanno sapere a Maurizio e Sandra quando tornare per la seduta successiva.

Ora a Maurizio non resta che attendere di vedere come risponderà all’intero programma di trattamento ma questa storia dimostra come, attraverso un lavoro di collaborazione tra i vari centri clinici di riferimento per una data patologia, sia possibile mettere a disposizione dei pazienti tutte le opzioni terapeutiche possibili, esplorando anche, laddove possibile, alternative ancora in corso di valutazione.

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