Dott.ssa Giorgia Mangili (Milano): “Di per sé la patologia è rara, ma rientrando in un più diffuso gruppo di tumori dell’ovaio ha potuto beneficiare di numerosi filoni di studio”
Da secoli l’impegno di generazioni di medici è quello di individuare nuove terapie con cui sconfiggere il cancro e, mai come oggi, i risultati di questa sfida testimoniano i passi avanti compiuti. Purtroppo, spesso risulta difficoltoso osservare tali successi perché ciò che chiamiamo “cancro” non è una sola malattia, bensì tante malattie diverse, ognuna con un suo peculiare profilo molecolare e una data risposta alle terapie. Un esempio particolarmente calzante di questa realtà si deduce dalle pagine della rivista Expert Opinion on Investigational Drugs, sulle quali è stata pubblicata un’interessante review firmata dalle ricercatrici dell’IRCCS Istituto Scientifico San Raffaele di Milano: in essa sono riportate le nuove linee di ricerca riguardanti i tumori epiteliali ad alto grado dell’ovaio, un ampio gruppo di cui fa parte anche il tumore delle tube.
I TUMORI EPITELIALI AD ALTO GRADO DELL’OVAIO
“Negli anni è stato osservato come circa il 70% dei carcinomi ad alto grado che colpiscono l’ovaio o il peritoneo origini dalle tube e poi si diffonda alle strutture limitrofe”, spiega la dott.ssa Giorgia Mangili, dell’Unità di Ostetricia e Ginecologia dell’istituto di ricerca milanese. “Tuttavia, il tumore delle tube, di per sé raro, non viene considerato come una singola entità ma rientra nel gruppo dei più diffusi tumori epiteliali ad altro grado dell’ovaio, nel quale sono compresi anche i carcinomi dell’ovaio e del peritoneo. Questo accade perché non sempre è possibile fare una distinzione della sede primitiva di partenza del tumore e si preferisce trattare tutte queste condizioni considerandole un’unica entità. Ciò ha condotto a un netto miglioramento della pratica terapeutica, con l’avvio di numerosi trial clinici allo scopo di identificare una cura per le pazienti affette da questi tumori”.
“Nella review appena pubblicata abbiamo voluto riportare i trial in corso riguardanti i più frequenti tumori epiteliali ad alto grado dell’ovaio, valutando gli attuali approcci terapeutici standard e le nuove prospettive di trattamento”, afferma la dott.ssa Raffaella Cioffi, prima autrice del lavoro. “In tal senso abbiamo mostrato quali siano le molecole, o meglio le combinazioni di molecole, rivelatesi più promettenti, evidenziando le principali difficoltà incontrate dagli scienziati nella ricerca di trattamenti mirati”.
FARMACI ANTI-ANGIOGENETICI E PARP-INIBITORI
In effetti, nell’ambito dei tumori epiteliali ad altro grado dell’ovaio sono emersi svariati fronti di ricerca decisamente promettenti, a partire dall’impiego di farmaci anti-angiogenetici, cioè quelli che bloccano la crescita di vasi sanguigni intorno al tumore stesso. Testa d’ariete di questa categoria di medicinali è bevacizumab, approvato nel regime di mantenimento, dopo chemioterapia di induzione con carboplatino, nelle forme epiteliali avanzate di cancro dell’ovaio.
“L’utilizzo dei farmaci PARP-inibitori (PARP-i) nella prima linea di trattamento ha portato a ulteriori cambiamenti - prosegue Cioffi - in modo particolare nelle pazienti con mutazioni nei geni BRCA [gli stessi coinvolti in certe forme di tumore della mammella, N.d.R.], che rappresentano fino a un quinto delle donne con tumore dell’ovaio”. I farmaci PARP-i interferiscono con la riparazione dei danni del DNA, causando instabilità genomica: nelle pazienti con difetti di ricombinazione omologa (HRD), come quelle che presentano mutazioni a livello dei geni BRCA1 e BRCA2, il meccanismo d’azione di questi medicinali conduce alla morte delle cellule tumorali. “Pertanto, questo approccio terapeutico si è rivelato estremante efficace”, precisa ancora Cioffi. “Attualmente sottoponiamo le pazienti al test HRD per verificare quali di esse potranno trarre beneficio dall’utilizzo della combinazione PARP-i più bevacizumab in aggiunta alla chemioterapia, che resta il gold-standard di trattamento”.
COMBINAZIONI TERAPEUTICHE EFFICACI
Lo schema combinatorio costituito da bevacizumab più un PARP-i (olaparib) trova quindi grande utilità come terapia di mantenimento nelle pazienti con tumore epiteliale ad alto grado dell’ovaio HRD positive. Nelle donne con malattia avanzata, con fattori di prognosi sfavorevoli (tumore al IV stadio o non completamente asportabile con la chirurgia), è stato inoltre approvato l’uso di un farmaco PARP-i (niraparib) già in prima linea, indipendentemente dall’esito del test HRD. “L’introduzione dei PARP-i in prima linea è stato un grosso cambiamento”, commenta la dott.ssa Cioffi. “All’inizio questi farmaci sono stati usati nelle recidive e hanno prodotto ottimi risultati, ma in seguito è emerso nettamente che gli esiti migliori si raggiungevano con una somministrazione precoce”.
Purtroppo, al tumore dell’ovaio sono attualmente associate basse probabilità di sopravvivenza, dal momento che esso non presenta una sintomatologia specifica e, al di fuori delle donne con alterazioni nei geni BRCA1 e BRCA2 (che vengono sottoposte a controlli semestrali già a partire dai 25 anni), manca una strategia per lo screening precoce: di conseguenza, molte diagnosi sono poste solo quando il tumore è già in fase avanzata di crescita. Fino all’80% delle donne ottiene una diagnosi in fase avanzata e ciò obbliga ad adottare strategie che cronicizzino la malattia. “Con l’avvento di questi nuovi farmaci speriamo di poter offrire una cura a molte più pazienti”, precisa Cioffi.
E I TUMORI GINECOLOGICI PIU’ RARI?
Ad oggi, il problema del trattamento rimane principalmente legato alle forme più rare di tumore ginecologico. “Per i tumori dell’ovaio a cellule chiare con mutazioni nei geni BRCA, ad esempio, non ci sono sufficienti studi che giustifichino la prescrizione dei farmaci PARP-i”; spiega Mangili. “In queste pazienti, caratterizzate da un deficit nel processo di ricombinazione omologa, probabilmente i PARP-i potrebbero produrre qualche effetto ma è spesso difficile disporre di un campione di pazienti sufficientemente ampio da poter avviare i trial clinici necessari per la conferma di simili ipotesi”.
Infatti, più un tumore è raro e maggiori sono le difficoltà nel poterlo adeguatamente studiare: l’ampia diffusione dei tumori della mammella ha spinto a iniziare una notevole quantità di trial clinici che hanno portato a un netto miglioramento nei processi di cura, e lo stesso sta avvenendo con i tumori epiteliali ad alto grado dell’ovaio, ma altre forme più rare di tumore si trovano più indietro nel percorso di indagine. La possibilità di eseguire dettagliate analisi molecolari e individuare mutazioni specifiche a carico di certi geni ha permesso di approfondire la situazione, distinguendo certi tumori da altri, ma lo sviluppo di nuovi farmaci richiede un grande investimento di tempo e denaro. Inoltre, molte pazienti con tumori ginecologici rari non accedono ai centri di alta specializzazione e questo rallenta ancora di più la raccolta di preziosi dati.
“Un altro esempio è rappresentato dai tumori germinali dell’ovaio”, prosegue Mangili. “Queste patologie rispondono molto bene alla chemioterapia, tanto da essere prese come esempio del grande successo dell’oncologia chemioterapica, e rispetto agli anni Settanta la sopravvivenza delle pazienti è sensibilmente aumentata. Purtroppo, però, esiste una fetta di persone nelle quali si presenta una recidiva di malattia, e in questo caso vengono a mancare farmaci adatti per colpire il tumore. Lo stesso accade per i tumori stromali, normalmente affrontati con la chirurgia, nei quali diventa impossibile trattare adeguatamente i casi di recidiva. Ancora, esistono terapie collaudate ed efficaci per i tumori della placenta, ma quando si presentano casi che non rispondono a questi trattamenti non abbiamo altre alternative terapeutiche”.
In conclusione, il tumore delle tube, per quanto rimanga un’entità nosologica rara, rientra in una categoria tumorale ad alta incidenza e ha potuto beneficiare di una serie di ricerche che hanno condotto all’approvazione di trattamenti efficaci. Nel caso di altri tumori ginecologici rari, tutto ciò non è (ancora) accaduto, ma la medicina di precisione è in piena fase evolutiva e le opportunità da essa derivanti, seppur non sempre facili da cogliere, potranno trovare uno sbocco solo con l’adozione di quel criterio di “fare rete” che oggi rappresenta la chiave di successo contro i tumori rari.
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